Grazie! Grazie signori giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo! Sono stato critico con voi nel caso Contrada e per l’ergastolo ostativo spalancato ai mafiosi. Ma ora no. Avete regalato alla malandata giustizia italiana una boccata d’ossigeno, provvidenziale per sopravvivere ai miasmi delle vicende Palamara e Amara. Perché se voi ci avete messo quasi otto anni per leggere un ricorso, i tempi biblici della giustizia italiana non sono più uno scandalo di cui vergognarsi.
E poi, signori della Corte, mi avete ricordato una faglia del nostro sistema, quella che – a volte inconsapevolmente – può portare ad avere più riguardo per i “galantuomini”, cioè le persone considerate perbene a prescindere, in ragione della posizione sociale ed economica che consente loro di garantirsi costose e agguerrite difese di primissimo livello. Proprio come quella dei magnifici sei (nomi che lasciano basito un povero magistrato in pensione come me) che compongono il collegio difensivo di Silvio Berlusconi. È di lui, infatti, che stiamo parlando, della sua condanna per frode fiscale di quasi otto anni fa, della quale oggi voi, signori Giudici, chiedete all’Italia conto e ragione, formulando una raffica di quesiti che al di là delle vostre intenzioni servono principalmente a seminare dubbi dove non ce ne possono più essere.
Dubbi sintetizzabili nella domanda se il ricorrente Cavaliere abbia avuto un processo equo a opera di un giudice imparziale, indipendente e costituito per legge. Complimenti! Ancora un grazie, ma questa volta a nome di tutti i condannati di questo mondo, posto che non ce n’è quasi nessuno che non sia straconvinto di essere stato vittima di un processo iniquo.
Gira e rigira, i quesiti riesumano la tesi insostenibile del complotto giudiziario contro Berlusconi, evocato per anni con lo studiato sistema di trasformare in verità – a forza di ripeterli – anche i falsi grossolani. Ma un minimo di conoscenza della realtà consente di affermare che soltanto in Italia il fondato e motivato esercizio dell’azione penale nei confronti del capo del governo ha determinato la contestazione in radice del processo, da parte dello stesso leader e della sua maggioranza; con la delegittimazione pregiudiziale dei giudici (indicati tout court come avversari politici).
Questo è ciò a cui si è assistito nel nostro Paese, in un crescendo che ha visto, oltre all’attacco quotidiano a pubblici ministeri e giudici, l’approvazione di varie leggi ad personam . Tra cui la legge Cirami e il lodo Schifani, utilizzabili rispettivamente per sottrarre il processo al giudice naturale e allontanare indefinitamente nel tempo la celebrazione di un dibattimento. Guarda caso, due punti oggetto dei quesiti Cedu.
A stupire, in particolare, è il quesito se l’imputato abbia potuto disporre del tempo necessario a preparare la sua difesa. Non solo perché la pattuglia di avvocati italiani che lo assisteva non era certo di livello inferiore a quella europea. Soprattutto perché di tempo ne è trascorso così tanto che tre dei reati contestati sono caduti in prescrizione!
In ogni caso, tutti i quesiti Cedu riguardano questioni già valutate e respinte da tutti i giudici italiani (di merito e di legittimità). Per cui non riesco proprio a vedere come il governo italiano (chiamato dalla Cedu a presentare la “giustificazione”, neanche fossimo a scuola…) possa affermare cose diverse. Sarebbe un oltraggio al principio della separazione dei poteri. Vero è che la maggioranza dell’attuale governo ha ripescato, anche tra i suoi componenti, il partito di Berlusconi. Ma a tutto c’è un limite…