Racconta Alessandro Barbero che nel luglio 799 Carlo non ancora Magno, re dei Franchi, è accampato in Sassonia. E si vede arrivare papa Leone III, miracolosamente fuggito a una rivolta di patrizi romani che – dice lui – gli hanno cavato gli occhi, mozzato il naso e la lingua. Il sovrano obietta che gli occhi, il naso e la lingua li ha ancora. Il Pontefice risponde che la Provvidenza glieli ha fatti ricrescere. Carlo finge di credergli. Purtroppo due nobili nostalgici del penultimo papa Adriano I, Pascale e Campolo, accusano l’attuale con prove piuttosto dettagliate di illegittimità, inadeguatezza e dissolutezza. Ma ormai il papa è lui e Carlo, protettore della Chiesa occidentale, deve difenderlo. Così s’impegna a reissarlo sul trono di San Pietro dopo un processo che finirà con l’assoluzione. E invia a Roma una commissione d’inchiesta mentre i suoi messi arrestano Pascale e Campolo e distruggono le prove. Pensa di convocare 10 testimoni pronti a giurare che Leone non farebbe mai ciò di cui è accusato. Ma poi si rende conto che non basterebbe. Scende a Roma e il 1° dicembre riunisce un’assemblea-concilio di nobili e vescovi, che sentenzia: nessuno può giudicare il Papa se non Dio. Così però un’aura di sospetto resterà comunque. Allora Leone si autoassolve nella basilica di San Pietro il 23 dicembre, giurando la propria innocenza sul Vangelo. Pascale e Campolo vengono condannati a morte coi loro seguaci (pena poi commutata in esilio). Due giorni dopo, sempre in San Pietro, Leone incorona Carlo imperatore. E tutti i salmi finiscono in gloria.
La storia si sta ripetendo nei talk show sulle accuse dell’avvocato Amara al giudice Ardita, membro del Csm come Di Matteo (che lo ha informato delle accuse e lo difende a spada tratta insieme ai conduttori) e com’era fino a un anno fa Davigo (che ha informato dei verbali ai vertici del Csm senz’avvertire l’interessato per non commettere un favoreggiamento personale). Stiamo parlando di tre magistrati specchiati (fino a prova contraria), messi due contro uno (o viceversa) dal diabolico Amara e dalle manine spargi-dossier. L’accusa ad Ardita è di far parte della “loggia Ungheria” con giudici, avvocati, politici, imprenditori e faccendieri. Cinque Procure indagano per capire se c’è qualcosa di vero. Se c’è, procederanno contro gli affiliati. Se non c’è, contro il calunniatore. Ardita ha tutto il diritto di proclamarsi innocente. Ma nessuno può dire che basta leggere i verbali, con alcune date sbagliate sui suoi incarichi, per capire che è tutto falso: questo lo stabiliranno, speriamo presto, i pm. I tempi in cui bastava il giuramento del Papa o dei suoi amici per assolverlo sono passati da un pezzo.