Non tutte le storie hanno un lieto fine, signori (…). Maria Rosa e Savina Pilliu pagheranno con i loro risparmi le tasse al posto del costruttore Pietro Lo Sicco. Andranno in banca a fare il loro bollettino F24 da sole, come in fondo tante volte sono andate da sole in procura, in prefettura, al Tar e in comune negli ultimi trent’anni.
Certo, stavolta le sorelle cominciano a sentire gli acciacchi degli anni e delle troppe battaglie non sempre vittoriose. Certo, Maria Rosa è malata e Savina deve portarla con sé non avendo nessuno a cui lasciarla. Certo, sono sempre più sole e la vita si farà più dura in futuro. Come tante volte facciamo noi giornalisti, scrittori o documentaristi potremmo riprendere il nostro cammino, Marco Lillo verso un’altra inchiesta e Pif verso un’altra puntata del Testimone. Il nostro dovere di narratori lo abbiamo fatto. Ma gli autori di questo libro non la pensano così. A noi piace di più la “solidarietà attiva” rispetto a quella passiva. Anche perché la morale nelle storie conta. Come riassumereste in poche immagini questa storia?
Alla fine la scena madre, quella con la sliding door che decide tutto, è la prima. C’è il costruttore nel cantiere davanti alle casette delle sorelle. Tutti hanno trent’anni di meno. Lui ha il giubbotto di pelle e l’aria sparviera quando dice alle sorelle: “Sloggiate di qui ché devo costruire il mio palazzo”. Cosa dovevano fare le sorelle Pilliu? Cedere come hanno fatto tanti? Il costruttore avrebbe apprezzato il gesto di “rispetto” e il film sarebbe cambiato. Magari, come il professor La Manna (…) che ha tenuto il punto per un po’ ma poi ha ceduto, avrebbero spuntato un buon prezzo. Magari avrebbero avuto un appartamento in permuta, con l’atto registrato e dunque valido. Invece le sorelle Pilliu non hanno ceduto. Sono andate in procura dal giudice Paolo Borsellino. Dopo averlo sentito parlare alla Biblioteca comunale, forse hanno tenuto duro seguendo anche le sue parole. Rileggiamo quello che il giudice disse negli ultimi giorni della sua vita, quando “perdeva” ore ad ascoltare la storia di Savina e Maria Rosa: “La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Ecco perché questa storia non può finire così. Non ce lo possiamo permettere.
Gli scrittori di favole sanno bene che non sempre è necessario il lieto fine. Però la morale della storia è legata al finale. Così quando sul Fatto Quotidiano nell’agosto del 2010 è uscito un articolo che paragonava la storia delle sorelle Pilliu a una favola, sapevamo bene qual era la morale di quello che sembrava allora il finale. (…) In quell’articolo del 2010 si leggeva: “Nelle ultime settimane ci sono state due importanti novità in questa lunga storia. Da un lato i giudici della Corte d’Appello di Palermo, il 21 luglio scorso, hanno confermato il verdetto di primo grado del 2002: il palazzo costruito in piazza Leoni, di fronte al parco della Favorita, dal costruttore Pietro Lo Sicco nel 1992, poi arrestato per mafia nel 1998 e condannato con sentenza definitiva nel 2008, deve essere arretrato di 2,25 metri e quindi abbattuto almeno in parte per rispettare le distanze con la proprietà delle Pilliu. La seconda notizia è che le casupole delle sorelle […] saranno risanate a spese dello Stato. […] In piazza Leoni bisognerebbe portare le scolaresche per mostrare quanto è difficile distinguere l’antimafia e la mafia. Da un lato si vede un palazzo grande e bello, costruito nel 1992 dalla Lopedil di Pietro Lo Sicco […], dall’altro lato ci sono due casette sghembe e diroccate. Le hanno imprigionate in una rete per nascondere una realtà sconcia. Alla scolaresca bisognerebbe infatti chiedere: dove sta la mafia? Tutti punterebbero il dito sulle casette, e allora bisognerebbe spiegare ai piccoli che la mafia è dall’altra parte: nel palazzo illegale ma ricco rimasto in piedi grazie a politici e avvocati. Mentre quelle case abbandonate da tutti sono in realtà la cosa più pulita della città. (…) La Corte d’Appello il 21 luglio ha scritto la parola ‘fine’ su questo monumento alla prepotenza composto di tre scale e nove piani che profuma di mafia dalle fondamenta al tetto. In ossequio alle nuove norme e a una diversa interpretazione – la parte illegale da abbattere si riduce in Appello da 8 metri a 2,25 metri. Resta però il principio […] e si parla di un progetto ambizioso: le case distrutte da Lo Sicco potrebbero essere ricostruite e unite a quelle delle Pilliu. Il filare antico risusciterebbe per ospitare i negozi di prodotti tipici delle sorelle, più un presidio dell’Agenzia che organizzi attività antimafia. Per ricordare a tutti che la legge vale anche a Palermo, anche se dall’altra parte c’è lo studio Schifani. E per dimostrare che, anche senza palloncini, le casette talvolta possono volare”.
Negli 11 anni trascorsi da quando è stato scritto questo articolo sono successe tante brutte cose. Non solo lo Stato non ha ricostruito le casette. Non solo la Lopedil, ormai di proprietà dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafia, non pagherà i danni alle Pilliu per quasi 780 mila euro più interessi, ma ora saranno loro, le “sorelle coraggio” che si sono opposte alla mafia, a dover pagare il “pizzo” del 3 per cento allo Stato su quel risarcimento negato. (…) Oggi, se portassimo una scolaresca in piazza Leoni per mostrare ai bambini il palazzo costruito dall’imprenditore legato alla mafia contrapponendolo alle casette delle eroine antimafia, cosa potremmo dire? Quale morale potrebbe trarre la scolaresca dalla fine che si sta delineando in questa favola nera? Cosa succede alle due donne che dicono no al costruttore? E alle casette? E al palazzo? E ai suoi inquilini, soprattutto a quelli magari legati al crimine, che succede? Questo si chiederebbero i ragazzi. E allora, se la risposta fosse: il palazzo resta in piedi, le casette vanno in malora e le sorelle non prendono un euro di risarcimento per i danni subiti, se questa fosse la risposta, che morale ne trarrebbero i ragazzi? Se l’insegnante in piazza Leoni fosse costretto a dire: “Cari ragazzi, la storia finisce male: lo Stato abbandona le due sorelle e le sbeffeggia chiedendo loro pure 23 mila euro di tasse, mentre vi ricordate quei soggetti arrestati in passato che abitano alcuni appartamenti? Bene, i loro parenti li compreranno all’asta con lo sconto, grazie alla causa pagata dalle sorelle”. Ecco, se fosse questo l’epilogo (…), cosa sarebbero portati a fare nella loro vita questi ipotetici studenti? Non sarebbero forse invogliati a scegliere “il puzzo del compromesso morale” scendendo a patti con il Lo Sicco di turno piuttosto che seguire “il fresco profumo della libertà”? Ecco la ragione per cui, cari lettori, questo è un libro che non racconta una storia ma che vuole cambiarla. Abbiamo deciso di raccontarvi nel dettaglio l’incredibile odissea delle sorelle Pilliu solo perché non ci piaceva il finale. (…) A noi non piace la scena delle sorelle che entrano in banca da sole e pagano 22 mila e 842 euro a uno Stato che prima non le ha difese e ora non le considera nemmeno vittime di mafia. In fondo abbiamo pensato che lo Stato non è solo la prefettura che ha detto no alla loro richiesta di risarcimento. Non è solo quel giudice amministrativo che ha dato ragione a Pietro Lo Sicco nel 1995. Non è nemmeno quell’assessore che ha concesso la licenza a un costruttore sapendo che non ne aveva diritto. Lo Stato alla fine siamo noi. Noi che scriviamo questo libro e voi che lo state leggendo. Perché questa triste storia potrebbe finire qui, a meno che noi tutti non decidiamo di intervenire e cambiare il finale. Direte voi: ma in che modo? Raggiungendo tre obiettivi. Il primo: attraverso la vendita di questo libro raccogliere 22 mila e 842 euro, cioè la cifra necessaria per pagare quel famoso 3 per cento dell’Agenzia delle entrate che le sorelle Pilliu sono costrette a versare. E, nell’eventualità che superassimo la somma necessaria, utilizzare il resto in attività antimafia. Ovviamente, noi due autori del libro cediamo in toto i nostri diritti d’autore. Il secondo: far avere lo status di “vittime di mafia” alle sorelle Pilliu. (…) Il terzo e ultimo obiettivo: ristrutturare le palazzine semidistrutte e concederne l’uso a un’associazione antimafia. (…)