Dobbiamo delle scuse all’emerito Sabino Cassese per aver dubitato della sua arzillitudine. Ultimamente ci era parso un po’ sulle sue, fuori forma ecco. Ma domenica, con un’intera pagina d’intervista alla Stampa, il Capannelle del costituzionalismo è tornato più rutilante e pimpante che pria. Gli han chiesto della governance del Recovery Plan, che quel sincero democratico di Draghi ha accentrato nelle proprie manine e in quelle del fido Franco, con l’ausilio (secondo le ultime stime) di 550 tecnici, e s’è pure dato il potere di commissariare financo i ministri e di relegare il Parlamento a puro arredo ornamentale. Figurarsi, ci siam detti prima di inerpicarci nella lettura, come la prenderà l’emerito, che per molto meno (i Dpcm e lo stato d’emergenza, peraltro tuttora vigente), paragonava Conte a Orbán, l’accusava di “violare la Costituzione” e prometteva che “i Dpcm illegali e saranno bocciati dalla Consulta” (che poi li promosse, ma lui ne desunse che “ha sbagliato il governo”). Quanto al progetto contiano di governance del Recovery, molto più light di quello draghiano, l’attempato leguleio aveva strillato urbi et orbi (ma soprattutto orbi): “Troppi poteri a un solo uomo. Soluzione rococò” (Stampa, 9.12); “Conte è un pirata che usurpa i poteri di ministri e governatori” (Libero, 22.12); “Il governo disprezza il Parlamento” (Libero, 3.1). Ecco perché attendevamo con ansia i suoi taglienti giudizi sulla governance draghiana che, se la contiana era roba da Orbán, dovrebbe ricordargli quantomeno Pinochet.
Invece, sorpresa: “L’accentramento non è esagerato: piano straordinario, tocca al premier”. E le Camere? Sticazzi: “Il Parlamento non può governare l’attuazione del Pnrr”. A saperlo prima, uno si teneva Conte e risparmiava pure, visto che di tecnici voleva ingaggiarne 300, non 550. Ma cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione: “Nell’impianto abbozzato da Conte tutto era affidato all’esterno, lo Stato era solo un attuatore”. Strano: la direzione era affidata al premier e ai ministri del Mef e del Mise, quindi tutto all’interno. Purtroppo l’intervistatore s’è scordato di rammentarglielo. Così l’arzillo misirizzi ha pure aggiunto che la struttura di Draghi avrà “un costo modesto”: in effetti, portando i tecnici da 300 a 550, si risparmia un casino. Questo giurista a intermittenza, come certe insegne al neon, ci ricorda un personaggio di Raiot, affidato da Sabina Guzzanti a Roberto Herlitzka: il professor Ludovico Cerchiobot, che sosteneva tutto e il suo contrario a seconda delle convenienze e concludeva immancabilmente teorizzando la legittimità della censura, perché “diciamocelo: agli italiani piace la frusta”.