Joop Keesmaat vive sulle rive del Merwede, uno dei numerosi fiumi che sfociano nel delta della Mosa e del Reno, e su cui navigano delle lunghe chiatte, che sembrano schiacciate dal peso dei container. Attraversando la viuzza che dall’appartamento di Joop raggiunge le rive del fiume, si vedono le slanciate ciminiere dell’imponente complesso industriale dell’azienda statunitense Chemours di Dordrecht. Un caos di strutture a forma di sfera e di cubo, come un tetris gigante, metallico e tossico. Per diversi mesi, tutti i sabato mattina, Joop, insieme a altri abitanti della sua città e delle città vicine, ha raggiunto la fabbrica in bici per andare a riversare terra e bottiglie d’acqua inquinata in segno di protesta. Joop, che ha l’età della pensione, è uno dei pochi abitanti di Sliedrecht, nel sud dell’Olanda, a mobilitarsi contro le emissioni di Gen-X: l’inquinamento invisibile della fabbrica Chemours.
Il Gen-X è un composto chimico ampiamente usato nell’industria per la solidità del legame carbonio-fluoro che blocca la penetrazione di acqua e grasso. Chemours lo utilizza nel processo di produzione del teflon, presente per esempio nelle padelle. Il Gen-X appartiene alla famiglia dei Pfas, dei veleni resi celebri dal film Cattive acque (2019) che raccontava la lotta di un avvocato contro gli scarichi della fabbrica Dupont in Virginia-Western che avevano causato diverse malattie tra gli abitanti della zona. Queste sostanze sono considerate “eterne”: così persistenti che la loro biodegradazione è praticamente impossibile. La fabbrica olandese apparteneva a Dupont fino al 2015. Chemours è nato da una scissione di questo gigante della chimica. Dagli anni 70, prima Dupont, poi Chemours hanno rilasciato veleni nell’aria e nell’acqua di Dordrecht, con effetti potenzialmente disastrosi sulla salute degli abitanti. Prima il Pfoa, di cui si parla nel film, ormai vietato. Dal 2012 il Gen-X, presentato dall’azienda come un’alternativa sicura.
In mancanza di dati ufficiali, Joop Keesmat ha elaborato delle statistiche sue, partendo dai registri sulle cause di mortalità in Olanda. Secondo lui, il tasso di mortalità per cancro a Sliedrecht tra il 2007 e il 2018 è stato del 16%, superiore a quello registrato nel resto del paese. “Scientificamente, è molto difficile dimostrare il legame diretto tra un input e una malattia, anche se è accertato che gli abitanti che vivono nei pressi dello stabilimento presentano delle tracce di Pfas nel sangue”, spiega Jacob De Boer, docente di tossicologia e chimica ambientale alla Libera Università di Amsterdam. Gli effetti del Gen-X sulla salute umana sono ancora poco noti. Le autorità olandesi considerano che abbia un impatto ‘probabile’ sul fegato, sui reni e sul sistema immunitario. A livello europeo, è considerato una ‘sostanza estremamente preoccupante’”. Gli olandesi cominciano a muoversi sul fronte giudiziario: 500 abitanti della regione hanno sporto denuncia contro Chemours. Il 24 aprile, i quattro comuni della zona intorno all’impianto hanno inoltre citato in giudizio Dupont e Chemours, accusati di avere nascosto i rischi dei Pfas e del Gen-X. “Sono in corso degli studi per valutare gli effetti potenzialmente cancerogeni del Gen-X”, ha spiegato Charmaine Ajao dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa). Martijn Beekman, dell’Istituto nazionale per la salute pubblica e l’ambiente (Rivm), riconosce che esistono “preoccupazioni serie” sulla pericolosità della sostanza e sul legame tra tumori e Pfas. Questo vale “in particolare per le persone che coltivano l’orto e usano l’acqua dei rubinetti”. Le tensioni locali si concentrano proprio intorno all’acqua dei rubinetti.
A Papendrecht, poco lontano dalla fabbrica Chemours, Karel Thieme si è unito al gruppo di manifestanti del sabato: “Sono trent’anni che le persone bevono acqua e Pfas”, dice. Nella sua cucina, sta mettendo a punto un sistema di filtraggio per garantire un’acqua cristallina “senza Gen-X né Pfas”. Le ricerche di Jabob De Boer hanno dimostrato la presenza significativa di Gen-X nell’acqua e nei campi intorno alla fabbrica. Quando piove, i depositi sul terreno confluiscono nei fiumi. Tracce di Gen-X sono state trovate nell’acqua dei rubinetti. Il fornitore di acqua locale, Oasen, precisa che le quantità rilevate sono al di sotto della soglia ufficiale di 150 nanogrammi per litro. Ma le soglie stanno cambiando. Mano a mano che le conoscenze scientifiche sui Pfas avanzano, i quantitativi considerati “accettabili” per il corpo umano diminuiscono. Di recente, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha ricalcolato la “dose settimanale tollerabile” di Pfas a 4 nanogrammi settimanali per chilo di massa corporea.
Nel 2008, la soglia era fissata a 150 nanogrammi al giorno. Oggi Chemours è autorizzato dalle autorità locali a versare nelle fognature un massimo di due chili all’anno di Gen-X. Fino al 2017, ne versava 6.400. L’azienda sostiene di aver ridotto le emissioni nell’acqua e nell’aria del “99%”, anche grazie a sistemi di filtraggio e ai carboni attivi. Si dice “soddisfatta” di aver speso 75 milioni di euro in nuove tecnologie.
Malgrado l’impegno manifestato da Chemours, Oasen, il fornitore di acqua potabile, sta sviluppando un suo proprio sistema di filtraggio dell’acqua. Uguale a quelle che sta realizzando Karel Thieme, ma su vasta scala. Negli Stati Uniti, il 31 marzo scorso, l’azienda è stata condannata dal Dipartimento della qualità ambientale della Carolina del Nord a pagare una multa di 200 mila dollari per aver violato i suoi impegni sul filtraggio del Gen-X. L’azienda ricorda che il Gen-X è stato sviluppato come “alternativa” al Pfoa e che questa sostanza “non si accumula nell’organismo. Non vi resta abbastanza a lungo da raggiungere una quantità potenzialmente nociva”, sostiene Marc Reijmers, responsabile Salute e sicurezza di Chemours. Se è vero che è meno “bioaccumulabile” rispetto ad altri Pfas, il Gen-X è invece molto mobile. Non si attacca a nulla, circola nell’acqua e diventa quasi impossibile estrarlo dall’ambiente. La sostanza è tossica e persistente. Eppure Chemours contesta davanti alla Corte di giustizia europea la decisione dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche di inscrivere il Gen-X nella lista delle “sostanze estremamente preoccupanti”, approvata all’unanimità dagli stati membri il 27 giugno 2019.
Di per sé, l’inscrizione nella lista implica per l’azienda soltanto l’obbligo di informare sulla catena di approvvigionamento. “Ma è un messaggio importante che viene dato all’industria: significa che bisogna trovare delle alternative”, spiega Alice Bernard dell’Ong Client Earth. Una prima tappa verso l’introduzione del divieto. Per l’Echa, il Gen-X è la storia sfortunata di un’industria che ha voluto ritirare una sostanza pericolosa, e in procinto di essere vietata, ma che ha finito col sostituirla con una sostanza simile e altrettanto pericolosa. “L’alternativa che è stata scelta presenta una serie di proprietà altrettanto dannose della sostanza che avrebbe dovuto sostituire”, riassume Charmaine Ajao dell’Echa. Per evitare che la cosa si ripeta, l’Agenzia europea sta promuovendo un approccio per gruppi di sostanze. Olanda, Germania, Norvegia, Svezia e Danimarca stanno preparando un rapporto sui Pfas al fine di farli vietare tutti: ma i Pfas sono 4.300 e ci vorranno anni per completarlo. Nel frattempo, Joop Keesmaat è preoccupato. Ci indica un vasto prato dove pascolano le pecore, dei giardini e degli appezzamenti di terreno dove gli abitanti coltivano gli ortaggi. Ci spiega che “i cumuli di terreno che circondano quei campi sono composti da terra contaminata portata sul posto dopo la costruzione di case nuove in città”. Joop ha raccolto dei campioni di terreno e li ha fatti analizzare dal professor Jacob De Boer. Queste terre, come tutte quelle dei dintorni, contengono tutte dosi non indifferenti di Pfas. Impossibile sbarazzarsene. E perché depositarle dove le persone coltivano l’orto? Joop risponde laconico: “È vero che vivere vicino a una fabbrica come questa, ci complica la vita”.
Traduzione di Luana De Micco