“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” diceva Wittgenstein.
Oggi il mondo sembra non avere limiti, eppure parliamo sempre peggio.
Cosa significa? Significa che lo possediamo sempre meno.
Il Covid è stato linguisticamente una cartina al tornasole.
Ad esempio la parola QUARANTENA, che è una chiara indicazione di tempo, abbiamo iniziato a usarla per gestire un periodo variabile tra i 15 giorni e l’infinito.
Che è un po’ come andare dal fruttivendolo e chiedere una banana facendo segno con le dita di volerne quattro.
Il passo al caos è breve.
Anzi, forse, il caos è subito.
In Italia coi numeri facciamo un po’ come ci pare.
Io per prima, visto che ho lasciato la matematica ai ricordi della maturità e mi sono occupata di teatro per tutto il resto del tempo.
Per questo fare satira, per me, è significato tornare a scuola. Tornare innanzitutto a studiare l’etimologia delle parole per fare ordine. E poi cercare di re-inventarle, di colorarle e di farle brillare.
L’idea è nata durante il primo lockdown (chissà perché usiamo l’inglese) mentre ero chiusa in casa. La tourneé dello Shakespeare con cui ero in scena si è dissolta nel nulla cosmico e improvvisamente mi sono ritrovata nel vuoto. La mia migliore amica Laura è esperta di pratiche di meditazione. Dice che siamo come bottiglie, e la parte più importante è ciò che conteniamo dentro. Se siamo troppo pieni, non ci entra nulla. Io e Laura siamo amiche da trent’anni e litighiamo spesso. Lei ovviamente non si scompone mai. Eppure per la prima volta in trent’anni ho sperimentato l’importanza del vuoto. Non subito. Nei primi mesi di chiusure del 2020 era impossibile, l’ansia e la paura creavano un rumore di fondo insostenibile. Poi però, quando i mesi hanno iniziato a passare, il panico si è trasformato in vuoto. E nel vuoto è nato lo spettacolo #POURPARLER, un viaggio alla scoperta delle parole. Ho sentito il dovere e la necessità di spiegare il reale secondo la forma d’arte che prediligo: la comicità e la satira sociale. L’arte per quanto mi riguarda deve sempre partire da necessità.
Le parole mi hanno sempre affascinata, in modo quasi erotico, da quando ero adolescente.
A volte per il loro significato, altre volte per la loro storia ed ogni tanto, lo ammetto, solo per il suono.
Ci sono parole bellissime come TRASVERBERAZIONE, che significa la trafittura del cuore del putto da parte dell’Altissimo, poco usata, che peccato.
E poi ci sono parole controverse come SINDACA o ARCHITETTA, che infervorano gli animi come non mai. Ci sono parole così difficili da gestire come DESIDERARE che deriva da sidera – astri e significa sentire la mancanza delle stelle.
E parole senza passato, come TIKTOKER o YOUTUBER o INFLUENCER, che potrebbero sembrare funghi, o muffe, o scherzi di un poeta. Insomma le parole sono pa-rabole, raccontano delle storie.
Possono essere finestre oppure muri, possono aprire dei mondi o tenerci prigionieri.
Mi sono ispira alla stand-up americana, che è la forma di drammaturgia più contemporanea che abbiamo, declinandola in una modalità personalissima.
In scena c’è solo un microfono. E poi una serie di contributi video, interviste e testimonianze di uno stuolo di personaggi esilaranti. Personalità folli, esperte di diversity, influencer, odiatori compulsivi, religiosi in stato di grazia ed eminenti studiose di linguistica.
Voci diverse nel tentativo di costruire un’indagine comico-scientifica sulla grande potenza del linguaggio, per cercare di carpire il segreto di ogni comunicazione.
E soprattutto per capire qualcosa del mondo in cui stiamo vivendo, con ironia.
E se è vero che oggi si comunica qualunque cosa, alle volte addirittura il nulla, #POURPARLER è all’esatto opposto, uno spettacolo alla disperata ricerca di un senso.
E di “un centro di gravità permanente”.
Nell’era dell’odio digitale, ho voluto creare uno spettacolo che servisse a combatterlo anche dentro di noi, quando neppure ci accorgiamo di averlo introiettato. Alla ricerca delle parole giuste per amare senza distinzione di sesso, di razza di lingua e di religione.
E mentre mi infilavo gli occhiali e cercavo etimologie nel vocabolario, è nato anche un personaggio di satira con una vita tutta sua. Si chiama Gina Francon, ed è la portinaia di palazzo Chigi. Le sue dirette da palazzo Chigi, dopo quelle di Conte, mi servivano per raccontare certe scelte della politica in modo libero, al di là del bene e del male.
Gina Francon è una figura quasi mitologica, erede dello statalismo italiano, col posto a tempo indeterminato da sempre e per sempre. Forse dalla nascita della Repubblica.
E conosce ogni retroscena della politica. Sui social ha più seguito di me e un profilo tutto suo su tiktok. Ora anche lei diventerà uno spettacolo in anteprima alla Fondazione Feltrinelli. Ma intanto l’appuntamento é per il 3 luglio a Milano alla Fondazione Feltrinelli (via Pasubio, 5) con #Pourparler. Scritto in collaborazione con due autori: Giovanna Donini e Gabriele Scotti. Segnatelo in agenda. Per tutte le date invece seguitemi sui miei profili social: annagaia marchioro.