L’estate si avvicina e l’entusiasmo per chi aspetta di tuffarsi finalmente in mare e far spaziare lo sguardo fino all’orizzonte è tanto, soprattutto dopo mesi chiusi in casa. Ma proprio questo mare, a cui tutti torniamo pieni di speranza, ha bisogno del nostro aiuto. Forse chi è abituato a esplorare i suoi fondali con maschera e boccaglio si è già accorto da tempo che il Mediterraneo non è più quello di una volta. I più piccoli invece non lo possono sapere. Anni di sviluppo economico incontrollato hanno reso il Mare Nostrum uno dei mari più sovrasfruttati, e purtroppo anche inquinati, al mondo. Traffico marittimo, sovrapesca, turismo di massa, esplorazione di petrolio e gas, plastica hanno decimato le popolazioni ittiche, portato vicino all’estinzione la metà delle popolazioni di squali e razze un tempo abbondanti, trasformato le rotte delle balene in pericolosissime autostrade, sottratto spiagge alle tartarughe e ai loro nidi, distrutto habitat fondamentali per il proliferare della vita marina e inquinato i pesci che finiscono sui nostri piatti. Lo spazio lasciato alla natura marina e ai suoi abitanti è sempre meno e ora è colpito da una minaccia che sovrasta e acuisce gli impatti di tutte le altre: il cambiamento climatico.
Il Mediterraneo detiene il record del mare che si è scaldato più velocemente, con temperature medie che aumentano il 20% più velocemente rispetto alla media globale. Ciò sta avendo conseguenze gravi e concrete in tutto il bacino, destinate ad aumentare nei prossimi decenni, con un innalzamento del livello del mare che potrebbe superare il metro entro il 2100 e con impatti su un terzo della popolazione della regione.
Uno degli effetti più visibili di questo riscaldamento è la tropicalizzazione del Mare nostrum. Come dimostra l’ultimo report del WWF “The Climate Change Effect in the Mediterranean: Stories from an overheating sea”, nel bacino sono ormai presenti circa 1000 specie “aliene” tipiche dei mari tropicali, che hanno attraversato il Canale di Suez fino a raggiungere e a proliferare nelle nostre acque, sempre più calde. I buffi nomi di alcune di queste non devono ingannarci: il pesce coniglio, un vorace erbivoro ormai diffuso in tutto il bacino orientale e meridionale, sta lasciano dietro di sé tristi deserti sottomarini al posto delle foreste algali, con impatti enormi sulla biodiversità e anche sul clima, poiché queste foreste sono depositi naturali di CO2. Bello e velenoso, anche il pesce scorpione sta guadagnando terreno, o meglio acqua, a discapito delle specie native di importanza economica di cui è un famelico predatore. A causa di queste e molte altre specie invasive, in alcune parti del Mediterraneo moltissime specie storicamente presenti sono ormai scomparse del tutto, con conseguenze drammatiche sulle economie locali.
Altro effetto imputabile al cambiamento climatico e all’alterazione degli equilibri tra specie è la proliferazione di meduse, che affligge pescatori e turisti. Il riscaldamento globale favorisce anche l’emergere di nuovi patogeni. E ancora, l’aumento di fenomeni atmosferici estremi sta devastando habitat marini fragili come quelli della Posidonia e i fondali corallini. Le praterie sottomarine di Posidonia infatti, già maltrattate dai turisti con ancoraggi indiscriminati, stanno regredendo sempre più velocemente a causa dello stress termico e della torbidità delle acque. Le praterie di Posidonia immagazzinano l’11-24% delle emissioni di CO2 dei paesi del Mediterraneo e il loro declino alimenta un ciclo vizioso: quando le praterie muoiono, i loro servizi ecosistemici vanno persi, le coste sono maggiormente esposte all’erosione e la cosiddetta matte (un fitto tappeto di foglie secche, rizomi e radici) che proteggevano, rimane esposta rilasciando la CO2 immagazzinata nell’atmosfera e alimentando ulteriormente il cambiamento climatico che per primo le sta danneggiando.
Ormai è evidente che clima e l’oceano sono due facce della stessa medaglia: sappiamo che il cambiamento climatico ha un serio impatto sull’oceano, e un oceano impoverito acuisce ulteriormente gli effetti del cambiamento climatico. Ma sappiamo anche che proteggendo l’oceano possiamo contribuire a contrastare il cambiamento climatico e che combattendo il cambiamento climatico contribuiamo a proteggere l’oceano.
Studi scientifici hanno dimostrato che se proteggiamo in modo efficace almeno il 30% del nostro bacino, con aree marine protette efficaci, potremo ricostituire gli stock ittici e rigenerare la biodiversità marina. Le Aree Marine Protette vanno quindi potenziate, per svolgere appieno il loro potenziale di nature-based solutions che garantiscono la resilienza contro gli impatti del clima. Ma questo non basta, le attività economiche che si svolgono intorno a esse devono essere gestite nell’ottica di un’economia blu veramente sostenibile, che non affatichi ulteriormente un mare esausto.
Se lo rispettiamo, il mare potrà riprendersi e aiutarci nella lotta contro il cambiamento climatico.
Questo sforzo sta alla politica, che deve avere una maggiore ambizione e realizzare urgentemente azioni di mitigazione più incisive e a lungo termine, con agende Clima e Oceano integrate; ma anche a ognuno di noi. A partire dalla prossima ancora che sceglieremo di non gettare su un fondale di Posidonia, del prossimo pesce dal nome strano e poco conosciuto che prediligeremo rispetto al solito nasello sovrasfruttato, della prossima pedalata in bicicletta verso il mare invece della macchina e di tutti i prossimi rifiuti di plastica che non lasceremo sulla spiaggia, noi siamo parte della soluzione. Insieme, possiamo farcela.
Qui potrete trovare tutte le informazioni sulla campagna GenerAzione Mare