È arrivata l’estate, dunque la stagione turistica nel Paese più bello del mondo. E puntuale si è presentato il piagnisteo degli imprenditori del turismo che non trovano lavoratori stagionali (l’apripista è stato il compagno presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca). Non è incredibile che le persone si rifiutino di lavorare 12 o 14 ore al giorno per 3 euro all’ora?
La settimana scorsa sul Fatto Roberto Rotunno ha ben spiegato la situazione: nel settore del turismo la domanda di assunzioni è di gran lunga più bassa rispetto al periodo prepandemico (per capire la misura: gli ingressi previsti in questo mese sono 26mila in meno rispetto a quelli di giugno 2019). Invece, e per fortuna, aumenta la domanda di personale dell’industria, delle costruzioni, del commercio e dei servizi. Dove, anche se ovviamente non dappertutto, le condizioni sono migliori.
Per esempio la Sammontana cercava 350 stagionali per il suo stabilimento in Toscana e ha ricevuto oltre 2500 candidature. Tutti innamorati del barattolino al pistacchio? No, il motivo l’ha spiegato bene un sindacalista della Cgil di Lucca: “È un’azienda seria: riconosce i diritti ai suoi lavoratori e dà ai suoi dipendenti uno stipendio medio che consente loro di vivere in modo dignitoso. Non è scontato, di questi tempi”.
Se non ci credete fate un giro sulla sezione che il sito del Fatto ha dedicato in questi giorni all’argomento, invitando i lettori a inviare le loro testimonianze via email. Il quadro che esce da queste lettere si può definire così: una situazione che travalica lo sfruttamento e si ferma un pelo prima dello schiavismo.
Qualche esempio. Cameriere stagionale in Toscana: “Orari massacranti, specialmente nei fine settimana, con assicurazione per 4 ore al giorno e ne lavori 15, magari ti danno buste da 1.500 euro ma ne devi restituire 6-700. Non sali mai di categoria, sei sempre aiuto cameriere. Luglio e agosto senza giorni di riposo perché è il periodo che si lavora di più, se per caso ti fai male a mezzanotte devi fare in modo che ti sei fatto male nelle ore che sei assicurato o addirittura dichiarare che ti sei fatto male a casa”.
Stagionale di Salerno, emigrato dall’Italia per i seguenti motivi: “Lavoravo in un lido molto noto in città, dalle 7 di mattina alle 7 di sera per 30 euro al giorno con 30 minuti di spacco, il mio ruolo era bagnino ma tutto facevo tranne quello… e meno male che mai nessuno ha avuto bisogno del mio aiuto perché stava per affogare. Ma il punto bello di questo lavoro era che se pioveva non mi pagava! Dicendomi oggi piove, non guadagno, non ti posso pagare”.
Un lavoratore stagionale di Rimini spiega i trucchi della busta paga: “Sulla carta vengono riportate le classiche 26 giornate di lavoro con retribuzione secondo il grado e la mansione ricoperta (con paga base e contingenza secondo ccnl) ma le voci in busta riportano meno ore (nonostante si lavori 7 giorni su 7 almeno 8-10 ore al giorno), no straordinari (sebbene nel turismo si facciano sempre straordinari), no festivi, il Tfr viene compreso nello stesso stipendio (quindi non esiste), no 13/14esima”.
I motivi per cui i lavoratori stagionali cominciano a ribellarsi sono, a nostro modesto avviso, più che evidenti. E non hanno niente a che fare con i sussidi e le altre cazzate con cui la cultura dei padroni (e dei loro giornali) ci ha rimbambito per anni. Viceversa ha dell’incredibile l’indignato stupore degli imprenditori: si aspettavano che dopo la crisi i lavoratori facessero a pugni per sgobbare gratis sotto il sole dei loro stabilimenti, magari solo per non farsi additare a giornali unificati come viziati fancazzisti?
Prima o poi il gioco al ribasso sulla pelle degli ultimi dovrà finire: speriamo che il Covid possa servire almeno ad arginare la dilagante voglia di schiavitù che ha trovato a sinistra un terreno di crescita tanto fertile.