Sulla Gazzetta Ufficiale n. 84 del 08/04/2021 è stato comunicato l’avvenuto rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’esercizio della centrale di compressione gas della società Snam Rete Gas S.p.A. sita nel Comune di Sulmona (AQ).
Questo impianto è davvero strategico e di pubblica utilità? I consumi di gas nel nostro Paese hanno avuto un andamento altalenante, dal massimo storico di 86 miliardi di metri cubi del 2005 ai quasi 62 miliardi del 2014 per poi attestarsi sui 71 miliardi di metri cubi nel 2020, pari ai livelli di inizio secolo; mentre all’epoca della progettazione della centrale le previsioni erano di “sostanziali aumenti dei consumi” (Snam, sintesi non tecnica, 2004), il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) oggi valuta, dopo un momentaneo picco motivato dal totale abbandono del carbone (“phase out”), un fabbisogno al 2030 di circa 60 miliardi di metri cubi. La progressiva diminuzione dei consumi di gas non riguarda solo l’Italia ma l’intera Europa, impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 in applicazione dell’Accordo di Parigi. La Commissione Europea prevede un calo del 20-25% del consumo di gas naturale in Europa entro il 2030, e un calo del 75-85% entro il 2050. Secondo il rapporto di Artelys (gennaio 2020), commissionato dalla European Climate Foundation, a livello europeo i nuovi investimenti nel settore del gas non sono necessari dal punto di vista della sicurezza energetica, poiché le infrastrutture esistenti sono sufficienti per rispondere alla domanda; il nostro Paese ha una capacità di importazione già oggi superiore al consumo interno (circa 110 milioni di metri cubi annui), senza possibilità di rivendere gas ad altri Paesi dell’Europa perché nel mercato europeo vi sono già quattro grandi hub del gas che coprono l’intero continente.
La centrale dovrebbe servire il futuro gasdotto “Linea Adriatica”, che a dispetto del suo nome attraverserebbe da sud a nord le aree appenniniche più altamente sismiche del nostro Paese, ne sono purtroppo recente testimonianza i terremoti del 1997, 2009 e 2016/17; Sulmona è classificata zona a rischio sismico 1 (alto), il sito scelto per l’impianto di compressione è nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone e i sismologi pongono l’attenzione su questa faglia – silente da oltre 1900 anni – e sulla particolare origine geologica della Conca Peligna caratterizzata da depositi alluvionali, come la piana dell’Aquila, che in caso di terremoto amplifica notevolmente gli effetti dell’onda sismica a causa del fenomeno dell’accelerazione. I territori attraversati dal gasdotto “Linea Adriatica” sono anche di eccezionale valenza ambientale e paesaggistica: il tracciato del metanodotto interessa, in modo diretto o indiretto, Parchi nazionali, Parchi e Riserve regionali, oltre a numerosi Siti di Interesse Comunitario della Rete europea Natura 2000. Attraversando vaste aree boscate, l’interramento del gasdotto “Linea Adriatica” richiederebbe l’abbattimento e l’eradicazione di almeno cinque milioni di alberi. Diversamente da altre grandi infrastrutture, come ad esempio il Tav, in questo caso non ci sono accordi internazionali da rispettare, la decisione è tutta nostra.
Nel 2018 a Sulmona una manifestazione popolare contro la centrale ha visto la partecipazione di 12.000 persone e l’adesione di quasi 400 istituzioni ed organizzazioni, sostenute dalle amministrazioni locali. È comprensibile che la popolazione si senta minacciata, ma non è solo una questione umorale; la stessa Snam riconosce che le emissioni della centrale di compressione (macroinquinanti), costituiscono contributi potenziali all’inquinamento atmosferico locale. A questo proposito ha destato particolare contrarietà il fatto che il rilascio dell’AIA sia avvenuto senza attendere l’esito della campagna di monitoraggio dell’aria richiesta dalle prescrizioni della VIA (rilasciata oltre dieci anni fa, quando normalmente deve essere reiterata dopo cinque anni dal rilascio in mancanza di realizzazione del progetto) che prevedevano la realizzazione di una rete di centraline mentre Snam, alla quale spettava l’onere dell’installazione, ha collocato solo due centraline senza utilizzare adeguati criteri scientifici per valutarne l’ubicazione non esistendo ad oggi uno studio specifico sul clima della Valle Peligna; la sua particolare conformazione orografica è caratterizzata da ridotta capacità di ricambio d’aria e dalla presenza dell’inversione termica (fenomeno che si verifica nelle valli montane alpine e appenniniche e che favorisce il ritorno dei fumi a livello del terreno), con un maggior tempo di ristagno delle sostanze nocive derivanti dalla combustione dei gas e quindi una più elevata esposizione delle popolazioni umane, animali, vegetali ai rischi connessi alla loro presenza. Lo stesso ministero dell’Ambiente, ora della Transizione Ecologica, nelle osservazioni alla VAS della proposta di nuovo piano della qualità dell’aria della regione Abruzzo ha, per alcuni inquinanti, evidenziato la necessità di approfondire il tema delle inversioni termiche nelle conche interne, tra cui quella della Valle Peligna; questo evidentemente vale per le emissioni dei camini per il riscaldamento ma non per le emissioni di un grande impianto autorizzato dallo stesso ministero.
La realizzazione delle due infrastrutture inciderà pesantemente anche sulle attività economiche, in primo luogo il turismo e l’agricoltura, di territori già in forte difficoltà. Il metanodotto e la centrale comporteranno la sottrazione o comunque la limitazione di centinaia di ettari di terreno agricolo destinato all’agricoltura di qualità (come uliveti, vigneti, alberi da frutta, tartufaie ed ortaggi come il famoso aglio rosso di Sulmona), nonché di un gran numero di terreni di uso civico.
È giusto anteporre interessi privati – perché di interessi privati si tratta, stante l’attuale fabbisogno di gas del nostro Paese – al benessere della popolazione di un’intera vallata che teme per la propria salute, per il proprio futuro, per la svalutazione della qualità di vita? Una vera transizione, ecologica o meno che sia, non può realizzarsi attraverso i consueti meccanismi legati al profitto, al consumo di suolo, al mancato rispetto della natura e dell’ambiente del quale facciamo parte, al rifiuto di tenere in considerazione le istanze di chi ha una visione diversa del progresso. Condividiamo le parole di Don Ciotti: “Una transizione senza conversione è cambiamento solo esteriore, un farsi condurre altrove rimanendo gli stessi di prima. Invece quello che Papa Francesco non smette di sottolineare è che per cambiare le cose dobbiamo prima cambiare noi, cambiare i nostri rapporti sociali e interpersonali, la nostra relazione con la natura e la Terra che ci accoglie, cambiare la coscienza che abbiamo di noi stessi riconoscendo l’essenza relazionale dei nostri io isolati egoisti ed egocentrici. Senza conversione non c’è insomma transizione che possa trasformare la globalizzazione dell’indifferenza in globalizzazione della speranza”.