Il virus, scrivono in molti, è innanzitutto dolore. C’è il dolore della mamma di Marzia, che non sa se riesce “a scrivere la storia dettagliata degli eventi, a parlare di mia figlia”, una giovane donna ammalata di tumore che si ritrova a febbraio ricoverata in ospedale per delle trasfusioni per carenza di ferro, qualche giorno dopo ha una crisi respiratoria, qualche giorno dopo – tampone positivo – viene messa in terapia intensiva, qualche giorno dopo ancora muore. C’è l’angoscia della nipote di Mimma, Reggio Calabria, che si ritrova – ricoverata per Covid, attaccata a ossigeno e flebo – a veder morire nella stessa stanza la nonna: “I medici le dicevano che doveva solo respirare e stare calma!”. C’è la vita spezzata del signor Gianni, che a novembre sviluppa i primi sintomi, con febbre alta e saturazione sotto i 90, ma che non può uscire di casa perché con lui vivono la moglie e la figlia disabile, anche loro positive al Covid. Poi ricoverato, poi dimesso perché “le condizioni non sono così gravi”, una volta a casa “la situazione non migliora e contatta medico di base, Usca, numero verde emergenza Covid presso l’Ausl e guardia medica: nessuna risposta”. Dopo 48 ore verrà trasportato in ospedale con una polmonite bilaterale. A distanza di venti giorni, muore.
Ed è così, con un lavoro di ricerca e documentazione monumentale, che stamattina il team dei legali coordinato dall’avvocato Consuelo Locati ha depositato a Roma un nuovo atto con cui altre 200 persone aderiscono alla causa civile che il 23 dicembre scorso è stata intentata contro la presidenza del Consiglio, il ministero della Salute e la Regione Lombardia, da parte dei familiari delle vittime del Covid. In queste centinaia e centinaia di pagine, a differenza del documento depositato in precedenza da oltre 320 familiari, ci sono le storie delle persone decedute nella seconda e terza ondata, tra ottobre 2020 e maggio 2021. Non più solo in Lombardia ma in tutta Italia, dalla Calabria al Veneto. “È una causa dalla portata storica: è la prima volta in cui nel nostro Paese i cittadini si uniscono e chiamano in causa le istituzioni per quello che hanno fatto o, meglio, non fatto – spiega l’avvocato Locati – e per le conseguenze che tutti noi abbiamo tristemente pagato per tali omissioni e violazioni di legge”.
Gli avvocati, che rappresentano molti dei familiari del Comitato “Noi denunceremo”, sono certi di poter dimostrare la responsabilità omissiva delle autorità centrali e locali non solo per la mancata previsione dell’emergenza. Ma anche perché “nulla è stato migliorato per quanto riguarda la gestione della pandemia nelle fasi successive a maggio 2020” e, aggiungono, “la responsabilità omissiva ora deriva pure dall’incapacità gestionale” che hanno mostrato, a tutti i livelli, le istituzioni. Oltre due terzi dei decessi che l’Italia conta complessivamente a oggi, sono morti nella seconda ondata del virus. “E noi continuiamo a ricevere decine di segnalazioni ogni giorno: cambia l’oggetto, perché attualmente sono tutte storie legate alle vaccinazioni, ma non cambia quello che denunciano”. Omissioni, carenze, violazioni di legge. “Non eravamo pronti a affrontare un’emergenza pandemica. Come siamo lontani dall’esserlo ancora oggi”.
Non c’era un piano di preparazione e risposta a una pandemia influenzale, il cosiddetto piano pandemico nazionale, secondo le linee guida dell’Oms (2005, 2009, 2013, 2017 e 2018) e dell’Unione europea. E, ancora, il vecchio piano del 2006 non era eseguibile, perché le attività di preparazione rimasero un work in progress, ma sarebbe stato comunque utile, se almeno fossero stati disponibili dei piani regionali. O se fosse stata svolta un’esercitazione per testare il piano, e la macchina organizzativa. Se fossero state, negli anni, erogate le risorse necessarie. Se avessimo rafforzato la tenuta del sistema sanitario. Ma tutto è rimasto inattuato, se non disatteso. E “se parti zoppo – come dice il generale in pensione Pier Paolo Lunelli – è difficile che ti raddrizzi”. Lunelli – più volte ascoltato dai pm di Bergamo che indagano sulla gestione della pandemia e sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo – presenta uno studio, allegato all’atto depositato oggi e che il Fatto ha potuto leggere, decisivo. Con numeri e grafici alla mano, si mostra come i Paesi senza un piano pandemico nazionale adeguato siano quelli in cui l’eccesso di mortalità ha toccato picchi anche superiori al 50%. “Risulta inconfutabile – scrivono i legali nell’atto – la totale impreparazione dell’Italia consueguente all’assenza di un piano pandemico adeguato, ma vi è anche l’assoluta inesistenza del tracciamento dei contatti e della successiva somministrazione dei vaccini”. Omissioni da cui “sono derivati i decessi di 126mila persone, tra cui i parenti delle oltre 500 famiglie che rappresentiamo”.
L’appuntamento ora è per l’8 luglio prossimo, per la prima udienza. “Saremo a Roma, in rappresentanza simbolica. Per noi, è anche una sfida al sistema. E a un certo modo in cui in Italia vengono negate verità e giustizia. Basti pensare che né governo né Regione Lombardia hanno depositato, in risposta alla nostra citazione, l’atto con cui si costituiscono in giudizio. La scadenza era il 14 aprile, ma niente. Se sperano che, col tempo, ci stancheremo, si sbagliano. Lo dobbiamo a tutte le famiglie che ci hanno dato fiducia. E a tutti i loro cari. Perché non sono morti per uno tsunami”.