Accanto al luogo dove Guevara venne seppellito per la prima volta, sorge il centro anti-Covid di Vallegrande, la cittadina dove venne trasportato in elicottero il cadavere del Che prima che fosse esibito nella lavanderia dell’ospedale. La clinica anti-Covid è stata allestita all’interno del Centro Cultural Guevara, un edificio realizzato per commemorare il 50° anniversario della morte del guerrigliero argentino. Il Che venne seppellito due volte ed è curioso per un uomo che, in fondo, non è morto mai.
La notte tra il 10 e l’11 ottobre del 1967 il colonnello Zenteno e il tenente Selich ordinarono che i cadaveri di Guevara e di altri sei guerriglieri fossero distrutti. Era troppo rischioso dare una tomba al Che. I corpi vennero caricati su un camion che raggiunse la caserma accanto all’aeroporto di Vallegrande. La benzina per bruciarli era pronta, ma iniziò a piovere e si scelse di seppellirli.
Oggi il Che, che non doveva avere una tomba, ne ha addirittura due. Una a Vallegrande e l’altra a Santa Clara, Cuba.
I resti suoi e degli altri guerriglieri vennero ritrovati il 28 giugno 1997. Fu facile riconoscere il suo corpo. Era l’unico senza mani. Gliele amputarono e le spedirono chissà dove per confermare che quel guerrigliero magro e sporco era il Che.
A ordinare l’amputazione fu Quintanilla, pezzo grosso dei servizi segreti boliviani il quale, nel 1971, divenuto console ad Amburgo, venne ucciso da Monika Ertl, una donna bavarese che utilizzò una pistola che apparteneva a Giangiacomo Feltrinelli, l’attivista politico al quale Castro affidò I diari del Che in Bolivia e che lui pubblicò per primo.
Si dice che Quintanilla venne colpito dalla “maledizione del Che”, la condanna che Dio, la malasorte o i servizi segreti cubani inflissero a gran parte dei responsabili della cattura, della morte e della sparizione del corpo di Guevara.
Honorato Rojas, il contadino che condusse la retroguardia del Che verso un’imboscata organizzata dall’esercito, venne ucciso dai militanti dell’Esercito di Liberazione Nazionale. Il Che si fidava di Rojas, sei mesi prima si era fatto fotografare mentre teneva in braccio i suoi figli. René Barrientos, il dittatore che diede l’ordine di giustiziare il Che, morì carbonizzato all’interno del suo elicottero precipitato. Anche Zenteno e Selich, i due militari che ordinarono la distruzione del corpo del Che morirono di morte violenta.
Il primo, nominato ambasciatore in Francia, fu assassinato in un parcheggio vicino al Pont de Bir-Hakeim, dove Marlon Brando incontra Maria Schneider in Ultimo Tango a Parigi. Selich, che alcuni ritengono abbia insultato il Che mentre questi era rinchiuso, sospettato di aver organizzato un golpe fallito, venne ucciso a bastonate dai servizi segreti di La Paz.
Per Mario Terán, il soldato che uccise il Che sparandogli, pare, chiudendo gli occhi, il contrappasso è stato beffardo. Non è stato ucciso. Dopo aver vissuto anni con il terrore della vendetta di L’Avana, nel 2006, venne operato a un occhio da una brigata di medici cubani. La solidarietà internazionale medica è una caratteristica del governo cubano. Decine di medici, lo scorso anno, sbarcarono in Italia per occuparsi dei malati di Covid. Colui che sparò al Che venne operato gratuitamente da una équipe di dottori cubani. La migliore vendetta possibile. A Cuba venne dato grande risalto all’episodio. Venne scritto che Terán recuperò la vista con quell’intervento. Lui minimizzò parlando di una semplice operazione di cataratta. È difficile trovare la verità quando si ha a che fare con un mito.
Il mito del Che nacque a La Higuera, un villaggio povero e polveroso dove vivono una ventina di persone. Negli ultimi mesi si è spopolato. Il turismo guevarista, un turismo non massivo ma costante, è scomparso per via del Covid. Agli abitanti de La Higuera oggi non resta altro che coltivare patate, mais e pascolare vacche.
A La Higuera nessuno si è ammalato di Covid, ma si segue l’andamento della pandemia nella speranza che la morte del virus riporti gli appassionati nel luogo della morte del Che. Lo spera anche una coppia francese che gestisce un ostello ricavato nella Casa del telegrafista, dove Coco Peredo, uno dei guerriglieri, andò a telefonare e seppe che l’esercito aveva individuato la guerriglia. Poco dopo, Peredo cadde sotto i colpi dei ranger boliviani, soldati addestrati dai berretti verdi americani. Fu allora che il Che decise di lasciare La Higuera e rifugiarsi in una gola chiamata Quebrada del Churo. Per raggiungere il luogo in cui venne catturato c’ho messo due ore. Il cammino era pieno di spine. Mi ha accompagnato Isaías, un anziano che dice di ricordarsi il passaggio dei guerriglieri nel ’67. Oggi più che un guevarista è un evangelico. Anche negli sperduti villaggi boliviani la chiesa cattolica perde fedeli.
In fondo alla Quebrada del Churo, circondato dalle montagne che allora pullulavano di soldati, ho pensato che il Che sapesse di non avere più scampo. Il Che perse presto i contatti con Cuba, si perse più volte nella montagne e non vi fu un solo contadino che scelse di unirsi alla guerriglia. Non fu una missione ben organizzata. L’aveva preparata troppo in fretta, spinto da quell’inquietudine che è stata croce e delizia della sua vita.
Cosa resta del Che oggi? Il suo essere scandaloso. Nell’epoca più conformista che si ricordi è scandaloso che un uomo diventato presidente della Banca centrale e ministro dell’Industria abbia rinunciato a privilegi per andare a combattere in un Paese non suo e finire ammazzato dopo aver patito fame e attacchi d’asma. Nell’era della sondaggiocrazia, dove i politici attendono le rilevazioni demoscopiche prima di aprire bocca, è uno scandalo pensare a un uomo politico, perché il Che lo era, capace di mettere la passione davanti al calcolo, il romanticismo al posto del cinismo e la ricerca della buona morte al posto della comoda vita.
Sulla porta della scuola de La Higuera c’è scritto: “Da qui un uomo è passato all’eternità”. Il Che continua ad accendere la passione di milioni di persone che non si sentono rappresentati dalla politica professionista, dal politicamente corretto e dal gelido calcolo.
Pare che rivolgendosi a Terán, il quale esitava prima di sparare, disse: “Tranquillo, stai solo uccidendo un uomo”. Un uomo sì, il cui mito come scrive Pago Ignacio Taibo II, “passa attraverso i miti di grandezza del neoliberalismo”. Quel neoliberalismo nemico del Che e di milioni di dannati della terra. Un nemico oggi ancora vivo proprio come l’esempio del Comandante Guevara.