Il caldo, ce lo ripetiamo dalla scorsa estate, frena la circolazione del virus. A scanso di ulteriori illusioni, però, dall’altra parte del mondo, in Australia, dove è inverno, la variante Delta ieri ha messo in lockdown mezza Sydney. Ma anche in Israele – il Paese più vaccinato del mondo – nel pieno dell’estate mediterranea, si torna a mettersi la mascherina. Anche qui, per la variante Delta, la cosiddetta indiana, che spaventa. E che, come scrive il New Yorker, “ha un’enorme capacità di contagiare che può infliggere un danno enorme alla popolazione mondiale”. E la scelta di aprire gli stadi per gli Europei potrebbe aver inciso sulla diffusione impetuosa della variante Delta in Uk. Col timore che, dato il gran numero di persone ancora da vaccinare e le più blande misure di contenimento odierne, si crei un effetto farfalla che, fra qualche mese, potremo pagare caro. Ma quanto è diffusa, oggi, in Italia e nel mondo la Delta? E le altre principali varianti? Il Fatto ha ottenuto in esclusiva i dati aggiornati al 15 giugno. “Siamo preoccupati e dobbiamo vaccinare, vaccinare e vaccinare, e mantenere le misure di distanziamento” ha detto ieri Ursula von der Leyen, a conclusione del vertice Ue. Le ha fatto eco il premier Mario Draghi che, assieme al ministro della Salute Roberto Speranza e al coordinatore scientifico del Cts Franco Locatelli, hanno molto prudentemente invitato a mantenere alta l’attenzione. Motivo per cui, come ha annunciato ieri Gianni Rezza, “il ministero della Salute e le Regioni stanno alzando il livello di guardia”. La Delta rischia insomma di vanificare gli sforzi delle campagne vaccinali. Anche perché senza la seconda dose (ricevuta in Italia per ora da 17 milioni di persone) il rischio di riammalarsi è alto. Se completamente vaccinati, invece, il rischio si abbassa notevolmente.
Il pericolo e le 4 lettere dell’alfabeto greco
Come spiegano i rapporti del Cog-Uk, il consorzio britannico per il sequenziamento dei genomi dei virus estratti a campione dal 5% della popolazione positiva britannica, sono almeno 4 le cosiddette Variants of Concern (VOC), le varianti preoccupanti, classificate secondo le lettere dell’alfabeto greco: la B.1.1.7 (già inglese, ora Alpha) è stata rilevata per la prima volta nel Kent ed è ritenuta più trasmissibile del virus originale di Wuhan B.1.351 (Beta) del 60%. La B.1 (Gamma), è stata rilevata per la prima volta in Sud Africa e in Brasile. Tutte hanno un certo grado di resistenza ai vaccini. La più preoccupante è la B.1.617.2 (già indiana, ora Delta) che presenta almeno 12 nuove mutazioni, di cui alcune sulla proteina spike. Si sta diffondendo nel Regno Unito e non solo, e pare colpire maggiormente la popolazione under 50, la fascia meno vaccinata. Si ritiene sia il 60% più trasmissibile della Alpha, una capacità e velocità di contagio non paragonabile a quella del virus che ha dato inizio alla pandemia in Cina a fine 2019. Non si ancora molto sulla percentuale di letalità della Delta, ma da studi condotti fin qui sembra che, rispetto ad Alpha, si raddoppi la probabilità di sviluppare una forma grave da ospedalizzazione. La fotografia più attendibile di Delta è quella del Regno Unito. Dai dati pubblicati dal Public Health England di questi giorni, sarebbero il 95% i contagi da variante Delta in Gran Bretagna. La sua diffusione sarebbe cresciuta del 46% la settimana scorsa, con 35.000 nuovi casi stimati. E questo preoccupa sul fronte “cerca la variante”: Uk è il Paese che per primo ha messo in piedi un programma di sequenziamento a campione casuale della popolazione positiva, con oltre 500 mila sequenze genetiche già depositate su Gisaid, la banca dati mondiale, a beneficio dei ricercatori di tutto il mondo che cercano di studiare e prevedere l’andamento delle varianti.
Il rimedio sequenziare: strumento imprescindibile
Sul consorzio per il sequenziamento Cog-Uk, il Regno Unito ha investito almeno 20 milioni di sterline. La Gran Bretagna, cioè, non corre semplicemente dietro alle varianti già identificate in altri Paesi per intercettarle anche sul loro territorio, come accade in Italia (solo 35 mila sequenze depositate finora) per lo più finalizzate alla ricerca di varianti già conosciute. Eppure la migliore rete di sequenziamento del mondo non è bastata a fermare la diffusione della variante Delta. Al 15 giugno, in Gran Bretagna si registravano già oltre 55 mila casi di variante Delta. “Il sequenziamento resta uno strumento imprescindibile – spiega Matteo Chiara, biologo molecolare all’Università di Milano e parte di Elixir, l’Infrastruttura di ricerca europea per i dati delle scienze della vita con sede a Bari e diretto da Graziano Pesole – Ci sono vari elementi da considerare: la Gran Bretagna ha optato per dare la prima dose di vaccino a tutti, ritardando la seconda. Al tempo poteva sembrare una buona idea, ma oggi questa strategia potrebbe essere una delle principali ragioni per cui Delta ha preso il sopravvento”. E poi il sequenziamento di un campione richiede almeno dieci giorni: “In questo lasso di tempo la variante potrebbe aver preso il sopravvento indisturbata, anche grazie a eventi in corso” A cosa si riferisce? “Gli Europei di calcio – prosegue Chiara – una questione di cui non si può e non si vuole parlare. Si pretende addirittura di fare la finale a Wembley a capienza piena dello stadio, mi sembra una pessima idea”. E un altro fattore è legato anche all’allentamento delle misure di contenimento in Uk.
In Europa indiana prevalente a fine estate
Matteo Chiara ha raccolto tutti i dati fin qui disponibili sulle 4 varianti più preoccupanti e alla capacità di sequenziare, in tutti i Paesi del mondo, dal 1 aprile al 15 giugno. I dati più attendibili, oltre che nel Regno Unito, restano quelli europei, in particolare Germania e Nord Europa. “Ormai tutti i Paesi europei stanno sequenziando a campione casuale fino al 5% della popolazione positiva, come stabilito da Oms ed Ecdc. La Germania, con 70 mila sequenziamenti effettuati da aprile a giugno (e 135 mila in totale) ha registrato 1.272 casi di Delta. La Spagna, con circa 9 mila sequenze, ne registra 430, il Portogallo 343, il Belgio 363, l’Italia 285, con 11 mila sequenziamenti fatti dal 1 aprile al 15 giugno: “Ma per l’Italia c’è da fare un discorso a parte – prosegue Chiara – Anche gli Usa hanno effettuato un grande sforzo nel sequenziamento, superando, come numero anche il Regno Unito, ma hanno sequenziato solo l’1,7% dei campioni. Quindi ben sotto il 5% fissato da Oms e Ecdc. Per i Paesi africani e in via di sviluppo, si parla di focolai di Delta, ma non sappiamo con che criteri venga fatto il sequenziamento e con che standard. I dati non sempre sono attendibili”.