Sostiene il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato cioè premier del Vaticano, in un’intervista ai media della Santa Sede: “Si trattava di un documento interno, scambiato tra amministrazioni governative per via diplomatica e non certo per essere pubblicato”. Insomma, nessuno scandalo a detta di Parolin, perché è una prassi comunque prevista dal Concordato tra Stato e Chiesa. È accaduto per esempio già nel 1970 ai tempi della legge sul divorzio, come ha ricordato uno dei figli di Giulio Andreotti, Stefano: “Mio padre lo scrisse nei diari”.
Parliamo, ovviamente, della Nota verbale trasmessa dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro” vaticano per i Rapporti con gli Stati, con le osservazioni sul ddl Zan, la legge anti-omofobia che prende il nome da un deputato del Pd, Alessandro Zan. Lo scoop lo ha fatto il Corriere della Sera il 22 giugno.
E ancora una volta, al di là del merito delle osservazioni (sulla libertà di espressione della Chiesa, in particolare), a tenere banco è stata la divisione tra clericali e progressisti in questo pontificato riformista di Francesco. Da una parte, per esempio, cattolici come l’ex ministro Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio che a Repubblica del 24 giugno dice: “Credo che provenga (la nota, ndr) da ambienti italiani della Segreteria di Stato”. Riassunto del titolo dell’intervista: “La Nota non viene dal papa”. Di segno opposto, invece, le parole di Giovanni Battista Re, decano del collegio dei cardinali, al Messaggero: “Questo intervento non solo corrisponde al pensiero e al desiderio dei vescovi italiani, ma posso dire che non c’è alcuna contrapposizione con il papa. So che la Segreteria di Stato ha agito con l’approvazione del Santo Padre”. In pratica Francesco sapeva tutto, a maggior ragione se come ha detto Parolin si trattava di “un documento interno” da non pubblicare. Come ammette il citato Riccardi: “Va detto però che è un passo riservato e che tale doveva restare nella sua sofisticata diplomazia”.
Anche per questo, probabilmente, il pontefice ha seguito in silenzio le polemiche divampate sul Concordato. E così si torna al punto di partenza: chi ha fatto uscire il documento? Un indizio decisivo lo ha dato ieri Marco Tarquinio, il direttore di Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani: “Ho sempre detto di credere alle buone intenzioni dichiarate dell’onorevole Zan, padovano (…), guarda un po’, come il giornalista che ha rivelato l’esistenza della riservata ‘nota verbale’”.
L’autore dello scoop sul Corsera è infatti Giovanni Viafora, che di solito collabora con il Corriere del Veneto, dorso locale del giornale di via Solferino. Entrambi di Padova, dunque, Zan e Viafora. Non solo. A esercitarsi sulla manina è stata anche Repubblica arrivando a fare il nome di Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, oltre a insinuare dubbi sulla Lega. E anche in questo caso si rimane a Padova: città natale di Casellati e dove ha lo studio legale il leghista Andrea Ostellari, relatore del ddl Zan al Senato. A questo punto, resta da capire chi ha voluto “bruciare la nota”: se il fronte Lgbt o quello clericale di destra.