È stato reso noto solo alle 13.45 di ieri, cioè meno di dodici ore prima che scadesse il blocco dei licenziamenti, il decreto governativo che mira a scongiurare l’avvio di una stagione di macelleria sociale. Draghi, intervenuto in zona Cesarini, confida probabilmente che alla Confindustria non convenga metterlo in difficoltà, e che le aziende intenzionate a licenziare procedano in maniera soft, almeno inizialmente.
Ma è un fatto che gli imprenditori sono pervenuti a riottenere mano libera. Il cosiddetto “avviso comune” concordato a Palazzo Chigi con i sindacati, non va al di là di una mera raccomandazione: “Le parti sociali… si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali… in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro”. Le aziende in crisi potranno usufruire di 13 settimane di cig gratuita ma, in assenza di una riforma organica degli ammortizzatori sociali, quanto a lungo si potrà contare sulla loro benevolenza?
La Cgil è rimasta isolata nel pretendere, invano, maggiori garanzie. L’unità sindacale resta solo di facciata. E il governo si limita a esercitare una sorta di moral suasion, scommettendo sulla ripresa a pieno ritmo della produzione.
Quanto a lungo potrà bastare? Non aveva torto ieri Il Sole 24 Ore nella sintesi pilatesca del suo titolo: “Il governo: Cig o licenziamenti”.
Impressiona, semmai, la disinvoltura con cui la (ex) grande stampa minimizza e sorvola su una vicenda riguardante il destino di un gran numero di lavoratori e delle loro famiglie. Che da oggi hanno perso una garanzia di stabilità del proprio reddito. Può darsi che i sindacati non avessero la forza di ottenere la proroga del blocco dei licenziamenti. Ma la storia insegna che in questi casi è sempre meglio riconoscere di fronte ai lavoratori il passo indietro a cui si è costretti, piuttosto che spacciare un auspicio per una vittoria.