Spiace dirlo, ma Mario Draghi ha giustificato la scelta di sospendere il cashback con una truffa semantica. In Consiglio dei ministri, dopo le proteste di Pd e 5Stelle, il premier ha spiegato che la misura è di “carattere regressivo” ed è destinata “a indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni economiche migliori”. Detto in parole semplici, Draghi sostiene che il cashback favorisce sopratutto i cittadini benestanti, già ora abituali utilizzatori di carte di credito, così come quelli che vivono al Nord e nelle grandi città. Molti Draghi-boys, sui social e sui giornali, hanno così esultato, curiosamente al pari di Fratelli d’Italia, arrivando a definire di destra il provvedimento voluto dal governo Conte.
Peccato però che il cashback, così come la lotteria degli scontrini, non sia stato pensato per redistribuire il reddito, ma per essere un volano che spingesse gli italiani a cambiare le loro abitudini. L’obiettivo principale, peraltro più volte dichiarato, era quello di incentivare la moneta elettronica; di indurre negozianti e artigiani a dotarsi di pos; di convincere i cittadini a scaricare l’app Io con cui si dialoga con la Pubblica amministrazione e di spingere i consumatori a entrare nel negozio sotto casa invece che acquistare online. Il cashback nasce infatti come una norma anti-evasione della durata di un anno e mezzo, cioè il tempo necessario per produrre nel Paese una sorta di rivoluzione copernicana.
Dopo soli sei mesi questo cambiamento era iniziato? O i dati raccontano che il cashback dal punto di vista della lotta al nero non ha dato alcun risultato? In un Paese serio sarebbero queste le domande cui dare risposta. E sarebbero pure le domande cui dovrebbe rispondere il premier. Il ministero dell’Economia, incredibilmente, ha però spiegato che non esistono “valutazioni d’impatto aggiornate”. E Draghi, in Consiglio dei ministri, ha confermato. L’ex numero uno di Bankitalia, insomma, pur essendo un uomo di numeri, non ha deciso in base ai numeri. E quindi anche la sua convinzione sul cashback che premia sopratutto i ricchi e meno i poveri è tutta da verificare. Intendiamoci, anche Fatti Chiari ipotizza che al momento sia così. Ma allo stesso modo è logico ritenere che col passare del tempo sempre più persone a basso reddito capiscano quanto il cashback sia per loro conveniente.
In ogni caso, l’approccio corretto, lo ripetiamo, è decidere in base ai numeri e all’esperienza. A oggi i dati pubblici sono pochissimi. Anche se ci forniscono delle indicazioni interessanti. Più di 13 milioni di italiani hanno scaricato l’app Io, con un picco impressionante nel periodo dell’entrata in vigore. Le transazioni con carta di credito e bancomat di importo inferiore ai 5 euro sono state 119.832.324 (il 16,3% del totale), segno che gli italiani hanno cominciato a pagare anche il caffè e il cappuccino con la moneta elettronica. E il fatto che il 21,4 per cento dei pagamenti si collochi tra i 25 e i 50 euro, lascia supporre che questi non siano acquisti al supermercato (un settore in cui l’evasione è praticamente assente). Sorprende però che il governo, adducendo motivi di privacy, non abbia fornito nemmeno alla Corte dei conti i dati disaggregati sul tipo di spese e di negozi interessati.
Caro Draghi, da lei ci si aspetta serietà: il cashback può essere migliorato (come suggeriscono i giudici contabili) escludendo, per esempio, la grande distribuzione e mettendo altri paletti. Può persino essere abolito. Ma ci vogliono i numeri. Altrimenti anche la sua è solo politica politicante.