Raffaella Carrà è morta ieri a 78 anni. Artista assoluta, in grado di diventare un’influencer decenni prima dei social; capace di dettare stile, moda, forma di spettacolo, di incidere nel quotidiano, e non solo italiano. Solo pochi giorni fa anche il “Guardian” la celebrava. Lei è stata una grande amica del Fatto, e ne eravamo onorati, e questa che segue è una parte delle interviste a noi rilasciate in un decennio.
“Maga Maghella? L’avrei soppressa, per me era un inferno cantare quella filastrocca. Non amavo vedermi così piccola, ridotta a una bamboletta. Mi piaceva solo il piedone di Corrado, su cui mi poggiavo. Ma Canzonissima era per tutti, grandi e piccini. Io mi identifico con Rumore, quella è la Carrà!”.
I balli sfrenati.
Sì, ma quando me li proponevano non ne azzeccavo uno. Bracardi mi propose A far l’amore comincia tu. Gli risposi: “Basta con queste ‘sambine’… E Com’è bello far l’amore da Trieste in giù? Chiedevo a Boncompagni: quelli di Bolzano non si deprimeranno? Lui: mi serviva ritmo.
Non voleva dare i diritti di A far l’amore comincia tu per La Grande Bellezza…
Pensavo ai soliti 20 secondi in un film commerciale, non avevo capito si trattasse di Sorrentino. Oggi dico a Paolo: un pezzettino dell’Oscar è mio e di Bob Sinclar. Ahahah.
Ha fatto sognare l’Italia per decenni senza spogliarsi mai.
Il Tuca Tuca la Rai me lo censurò dopo una puntata, malgrado fosse in cima alle classifiche. C’era Alberto Sordi che veniva da me e Gianni (Boncompagni) a giocare con il baracchino. Imitava se stesso, in incognito, e i radioamatori dicevano: “So’ mejo io a fa’ la voce de Sordi!”. Una sera a cena, e c’era pure la Zanicchi, lui mi fa: “Vengo da te a Canzonissima, ma solo se possiamo ballare quella cosa”. Non potevano dire di no a Sordi. Fu memorabile: mi sfiorava i seni con la punta delle dita. Gli sussurrai, dopo: “Albè, stavolta ce cacciano”.
Si è favoleggiato della rivalità con Mina a Milleluci.
Macché! Era colpa di Antonello Falqui, che se vedeva una lampadina fulminata in fondo allo studio ci faceva ripetere i numeri! Ore e ore così, e noi cantavamo tutto dal vivo. Mina alloggiava all’Hilton e la sera veniva da me a giocare a scopone scientifico. La mia governante le cucinava cavolo al forno. C’era feeling. E io non sono buona sul lavoro. Se trovo un collega che non mi piace mi ritiro subito, ma con i grandi non si litiga.
Con Mastroianni.
Eravamo sul set de I compagni . Dovevo schiaffeggiarlo, ma non volevo fargli male. Ripetemmo la scena cento volte finché Marcello sbottò: “A Raffae’, così me stacchi la barba! Damme ’sta sberla”.
Gianni Boncompagni…
Il bello è che non abbiamo mai litigato: l’ironia e il gioco ci hanno uniti da subito.
Ha cresciuto le sue figlie.
In qualche modo siamo diventati grandi tutti insieme, una famiglia allargata, anche se non mi sono mai permessa di prendere il posto della loro mamma; il mix era un po’ particolare, dove le certezze si sono radicate da subito e dove Gianni è stato bravissimo a dare le risposte necessarie a tre bambine lasciate solo alle sue cure.
Boncompagni l’ha definita iper precisa…
Non sono mai stata una secchiona, solo una che cerca di portare sul lavoro una certa professionalità, quindi se prendo un impegno non mollo, ma per il resto non sono ossessionata dal corpo, dalle diete, non mi interessa il botox, e in palestra vado quando è necessario; (ripensa a Boncompagni) ci divertivamo tanto.
Soprattutto scherzi.
Quando iniziavano con il telefono, era la fine, a volte mi piegavo in due per il dolore ai reni, o non trattenevo le lacrime: il classico era chiamare alle quattro di notte l’hotel Hilton (un cinque stelle lusso) e far trillare direttamente l’apparecchio delle camere, poi aspettare la risposta dei clienti, e con una calma spiazzante domandare: “Scusi signore, cosa preferisce da colazione? Croissant con la crema o semplice?”.
1970, Canzonissima e l’ombelico.
Che cosa ci trovassero di tanto straordinario me lo svelò mia madre: “Piace perché è un ombelico alla bolognese”.
Frank Sinatra…
Un giorno mi regala una collana. Arrossisco, vado dal suo manager e protesto. Mi sembrava davvero troppo. Quelli non ci sentono e a quel punto mi stufo: “Se volete la pupa del gangster avete sbagliato”.
Lei è stata fortunata?
Molto. Avrei voluto dipingermi un passato da piccola fiammiferaia, ma non era vero. Ero benestante, mia madre e mia nonna mi lasciavano libera di seguire l’istinto che mi ha fatto restare attaccata alla precarietà di questo mondo.
Il successo…
Va bene, è bello, stimolante, intenso, gratificante, ma quando ti trovi sola di notte, nel letto, hai bisogno di un amore grande da poter abbracciare.