L’emendamento sulla prescrizione approvato (senza votare) nel Cdm dell’8 luglio ricorda il meccanismo che porta a definire “escort” chi, accompagnando un cliente, è disponibile a rapporti sessuali (Treccani). La parola è più soft di altre, ma la sostanza è la stessa: un po’ come l’emendamento, che a prescrizione aggiunge improcedibilità, termine meno… impegnativo. Ma torniamo alla sostanza.
La prescrizione c’è dappertutto, ma nel nostro Paese con alcune differenze notevoli. Primo: da noi decorre da quando è stato commesso il reato e non – come altrove – dal giorno in cui il presunto colpevole è stato individuato o dal primo atto di accusa. Un notevole vantaggio per l’indagato. Secondo: il nostro sistema, disgraziatamente basato su un processo lunghissimo, ogni anno causa centinaia di migliaia di prescrizioni. Per cui, mentre altrove la prescrizione è circoscritta a pochi casi limite, da noi è una voragine gigantesca che inghiotte senza ritorno un’enormità di processi. Tant’è che la percentuale italiana di prescrizioni è del 10/11%, contro quella dello 0,1/0,2% degli altri Paesi europei. Terzo: negli altri ordinamenti, il decorso della prescrizione si interrompe definitivamente o nel momento del rinvio a giudizio o con la condanna in primo grado; invece in Italia, da sempre e per un lunghissimo tempo, non c’è mai stato un blocco definitivo, ma solo sospensioni temporanee, con una prescrizione di fatto “infinita”.
Si cambia registro – allineandosi agli altri Paesi – il 1° gennaio 2020: una nuova norma interrompe la prescrizione con la sentenza di primo grado. Neanche il tempo di festeggiare il Capodanno, ed ecco scatenarsi una bagarre con formule (sarà una bomba atomica!) note solo ai giuristi più raffinati. Peccato che nessuno sia in grado di stabilire con un minimo di affidabilità quali saranno davvero gli effetti della riforma del 2020 (comunemente definita “Bonafede”, il ministro che ha il merito di averla voluta). Prova ne sia che nella relazione del 24.5.21 di Giorgio Lattanzi, presidente della Commissione istituita dalla nuova ministra, Marta Cartabia, per elaborare proposte innovative sul processo penale, a pagina 51 si legge testualmente che tali effetti “si produrranno a partire dal 1° gennaio 2025 per le contravvenzioni e dal 1° giugno 2027 per i delitti”, per cui “dal punto di vista tecnico non vi sono ragioni che rendono urgente anticipare (una nuova) riforma della prescrizione”, lasciando peraltro “impregiudicata ogni valutazione politica”. Dunque, che fretta c’era di intervenire? Sul piano tecnico nessuna, se non privilegiando il piano politico con un occhio di riguardo a coloro che han sempre visto nella prescrizione (e nelle leggi ad personam) la soluzione più comoda ai loro problemi giudiziari. E basta sfogliare le cronache di questi anni per “scoprire” di chi si tratta.
Sta di fatto che nel Cdm dell’8 luglio, da un lato si conferma che la prescrizione si interrompe con la sentenza di primo grado, ma nel contempo dopo l’interruzione si introduce… una sospensione, nel senso che se non si arriva alla sentenza d’Appello entro due anni e a quella di Cassazione entro un anno dall’Appello, tutto finisce in niente, dovendosi dichiarare la non procedibilità del reato. Il che significa che i colpevoli restano impuniti e all’innocente viene negata l’assoluzione. In pratica, se non è zuppa (prescrizione) è pan bagnato (improcedibilità).
Dunque, un ritorno al passato che ricicla la convenienza ad allungare il brodo finché prescrizione+improcedibilità non intervengano inghiottendo ogni cosa. Con la conseguenza, ancor più grave, di perpetuare una anomalia del nostro sistema: la coesistenza di due codici distinti. Uno per i “galantuomini” (che in base al censo o alla collocazione politico-sociale sono considerati “perbene” a prescindere); l’altro per i cittadini “comuni”. I primi possono permettersi difensori costosi e agguerriti, in grado di utilizzare ogni spazio per eccezioni dilatorie. Per loro, il processo può ridursi all’attesa che il tempo si sostituisca al giudice con la prescrizione o improcedibilità che tutto cancella. Mentre per gli altri il processo – per quanto di durata biblica – riesce più spesso a concludersi, segnando in profondo vite e interessi. Un’intollerabile asimmetria incostituzionale, fonte di disuguaglianze, che nega elementari principi di equità. Dovuta al fatto che proprio il binomio prescrizione+improcedibilità può contribuire fortemente a far durare all’inverosimile certi processi. E ciò proprio grazie a un emendamento che vorrebbe essere garantista!