Le trame di uomini dei servizi inglesi, americani, arabi e italiani alla vigilia della stagione delle stragi per cacciare Falcone dalla Sicilia e poi eliminarlo nel ‘92. Le complicità occulte di Cosa Nostra con ambienti di apparati paramilitari, massoni e piduisti. Il viaggio dal Friuli alla Sicilia alla guida di un autotreno carico di armi ed esplosivi destinati a gruppi armati siciliani, forse collegati a Gladio. Il ruolo degli esattori Salvo e dell’avvocato Vito Guarrasi nella strategia della tensione. E gli “amichevoli’’ consigli di Giovanni Tinebra a lasciar perdere rivelazioni scottanti in uno Stato che difficilmente lo avrebbe tutelato.
È l’Italia segreta delle trame eversive, “quell’eredità che ancora deve essere correttamente valutata e approfondita” (come ha detto il pm di Caltanissetta Gabriele Paci), che ci ha lasciato il collaboratore di giustizia Franco Di Carlo nel libro-intervista Dietro le stragi, oggi in uscita edito da PaperFirst, frutto di sette incontri avuti con lui tra Roma e Palermo a partire dall’autunno 2018.
Sono parole che puntano al “cuore nero’’ dello Stato, provenienti dal collaboratore che più d’ogni altro, grazie al suo ruolo di consigliori di Totò Riina, ha svelato le sinergie occulte di un sistema criminale integrato tra mafie e uomini degli apparati che da sempre aleggiano dietro le trame stragiste e che da sempre, in tutte le indagini, sfuggono alla certezza della prova.
Franco Di Carlo è stato un uomo-cerniera di mondi diversi: socio del principe palermitano Vanni Calvello e problem solver di Riina per l’aggiustamento dei processi; corleonese di ferro ma amico di famiglia di Stefano Bontate; di casa al Viminale (dove andava da latitante per salutare un prefetto amico) e in rapporti cordiali con il capo del Sismi Giuseppe Santovito. Un’“enciclopedia vivente” della mafia e dei segreti corleonesi: quell’impasto di forza intimidatrice, intese con politici e apparati e violenza stragista, cieca e bestiale, tenuto insieme per decenni dal collante massonico che a un certo punto della storia italiana, prova a “farsi Stato’’ insieme alla ’ndrangheta.
Di Carlo ha vissuto in diretta quella stagione dal carcere britannico di Full Sutton, le sue parole oggi possono aiutare la magistratura a svelare le complicità che accompagnarono (o diressero) l’azione di Cosa Nostra prima nel tentare di allontanare Giovanni Falcone dall’impegno antimafia in Sicilia e poi nell’eliminarlo, insieme con Paolo Borsellino, aprendo la strada (con le bombe del ’93) alla nuova fase istituzionale della Seconda Repubblica. Man mano che riordinavamo gli appunti sui temi e le notizie che via via Di Carlo ci andava consegnando, ci siamo accorti che in qualche caso le sue rivelazioni si incrociavano con le parole (desecretate solo tre anni fa) contenute nelle audizioni rese al Csm dai pm più vicini a Falcone e Borsellino nell’immediatezza del dopo-stragi. Parole che descrivevano in presa diretta le difficoltà incontrate dai magistrati uccisi a Capaci e in via D’Amelio persino all’interno del loro ufficio: gli ostacoli posti dal procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, ma anche, per la prima volta nitidamente, i temi di indagine sui quali i due magistrati palermitani erano concentrati al momento della loro uccisione, a cominciare da Gladio.
Senza giri di parole, Di Carlo è andato al cuore del problema, consegnandoci un materiale informativo che, per la complessità e i ruoli dei soggetti coinvolti, e per i potenziali risvolti politico-istituzionali dei temi trattati, impone un vaglio giudiziario il più possibile rigoroso nella ricerca non di una verità “compatibile’’, ma dell’unica verità in grado di svelare finalmente i volti dei mandanti occulti delle stragi e quelli dei burattinai di una stagione lunga quasi 30 anni di depistaggi e inquinamenti probatori. Una stagione, purtroppo, fatta anche di disinformazione, responsabile del tranquillizzante conformismo della vulgata che impera sulla matrice mafiocentrica delle stragi, periodicamente riproposta dal mainstream, in una singolare attività di cancellazione di pezzi di storia italiana, in nome di una malintesa ragion di Stato.