Il primo nodo da sciogliere per Giuseppe Conte come nuovo leader del Movimento 5 Stelle è proprio quello a cui forse tiene di più. Quello della giustizia. Il “sì” dei quattro ministri 5 Stelle di giovedì alla riforma Cartabia che ha cancellato la “Bonafede” sulla prescrizione, per di più spinta da Beppe Grillo con tanto di telefonata al premier Mario Draghi, all’avvocato proprio non è andata giù. E così adesso l’intenzione dell’ex premier è quella di far modificare il testo alla Camera, a partire dal 23 luglio: Conte considera la riforma così com’è stata approvata in Consiglio dei ministri “inaccettabile” e, se il testo dovesse rimanere lo stesso, “non passerà con i voti del M5S”. Per l’ex premier, che ne ha parlato con i suoi nelle ultime ore e tiene un filo diretto con l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, la riforma non solo non va bene “come princìpio” ma ancora di più “alla luce della situazione dei tribunali italiani” che non garantirà di chiudere i processi nei tre anni stabiliti dopo la sentenza di primo grado. L’obiettivo quindi del nuovo leader M5S è di modificare notevolmente la riforma in aula. E se non sarà possibile? Per il momento, nessuno arriva ad ipotizzare l’uscita dal governo Draghi ma, in caso di muro contro muro con i partiti più garantisti, la maggioranza ballerà.
Anche Bonafede è sulla stessa linea di Conte. Ieri, durante l’assemblea con i parlamentari, ha parlato di “riforma sbagliata” che rischia di creare “isole di impunità”. I due si sono già messi a studiare alcune modifiche alla riforma che non la stravolgano completamente ma che permettano di recuperare parte del terreno perso. Il sogno è quello di eliminare la nuova “improcedibilità” à la Cartabia e tornare all’impianto della “Bonafede” con sconti di pena se il processo dura troppo. Più realisticamente, l’obiettivo è agire sul processo di Appello per evitare che scatti la prescrizione. Come? Inserendo modifiche processuali per far rispettare il limite dei due anni e abolendo il divieto di reformatio in peius – in secondo grado le pene non possono essere più alte del primo – così da fare da deterrente per i ricorsi. Inoltre, e questa è la battaglia su cui i 5S si batteranno di più, l’ex premier vorrebbe abolire la norma secondo cui il Parlamento (con una relazione annuale) può dettare alle procure la priorità sui reati da perseguire. Una riforma sognata per anni da Silvio Berlusconi – che voleva i pm alle dipendenze dell’esecutivo – e che ora il M5S vede come fumo negli occhi. Tra due settimane, quando a Montecitorio, arriveranno gli emendamenti di Cartabia, si porrà un problema politico interno al M5S e al governo. Il Movimento infatti sulla giustizia è spaccato in due: da una parte ci sono i ministri – Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli, Federico D’Incà e Fabiana Dadone – e i loro fedelissimi, dall’altra il corpaccione del gruppo parlamentare che annuncia le “barricate” in aula. Minacciare l’uscita dal governo significherebbe anche sconfessare i propri ministri.
Durante l’assemblea di ieri i grillini più ortodossi, da Giulia Sarti ad Alberto Airola passando per il senatore Marco Pellegrini e la vicepresidente della Camera Maria Edera Spadoni, hanno parlato di “schifezza” e chiesto “mani libere” in aula, mentre l’ala più governista dei gruppi – il capogruppo alla Camera Davide Crippa, Daniela Torto e Luca Migliorino – difende la scelta dei ministri. Il nuovo M5S di Conte proverà a modificare la riforma in Parlamento ma dovrà scontrarsi con i partiti – in particolare Lega, FI e IV – che la considerano addirittura troppo “giustizialista”. A quel punto si aprirà un problema politico nel governo.