Il territorio della Germania occidentale è un’icona della buona manutenzione del paesaggio: colline e vallecole con campi coltivati alternati a boschetti, centri abitati lindi e ordinati con le tipiche case a graticcio. Ma soprattutto un ottimo servizio meteorologico nazionale, una proverbiale organizzazione di protezione civile e un grande senso civico dei cittadini. Tutto ciò non è bastato a impedire una catastrofe alluvionale con decine di vittime ed enormi danni agli abitati e alle infrastrutture. Segno che l’evento meteorologico ha passato la misura, ha assunto intensità eccezionali, giudicate dai climatologi tedeschi come possibili non più di una volta al secolo. Il problema è che ormai l’evento eccezionale – definito tale quando confrontato con i dati del passato – sta diventando la nuova normalità per il clima contemporaneo. Normalità statistica, non sociale. Perché al fango in salotto non potrai mai abituarti, e meno ancora alla sofferenza per la perdita di una persona. Sono caduti sulla regione che comprende Germania, Belgio e Olanda, circa 150 mm di pioggia in una giornata, dopo settimane di pioggia precedente che avevano già saturato i suoli. Lo scroscio aggiuntivo ha innescato l’onda di piena e il trasporto di detriti che ha invaso i paesi e abbattuto le case sfondando le pareti o erodendone le fondazioni. Questi episodi intensi sono sempre più causati dalla persistenza per giorni sulle stesse aree geografiche di grandi strutture meteorologiche lente a muoversi.
In questo caso si è trattato della depressione “Bernd”, così denominata dall’Università di Berlino, bloccata nel suo movimento da due anticicloni, a est e a ovest. Così la pioggia insiste continuamente sui medesimi luoghi aumentando il rischio di dissesti. D’altra parte il tempo caldo e asciutto che si instaura sotto gli anticicloni persistenti alimentati da aria tropicale è la ragione di altri estremi, come i 49,6 gradi di fine giugno in Canada o i 34,3 gradi nel nord della Norvegia, ben oltre il Circolo Polare Artico. Perniciose alternanze che con sempre maggior evidenza vengono attribuite al rallentamento della corrente a getto polare: come un fiume quando perde velocità in una piatta pianura produce ampi meandri, così il fiume d’aria ad alta quota tende a produrre vaste e lente ondulazioni all’interno delle quali ristagna aria ora calda ora fresca. Se sei nella cresta dell’onda calda vai a fuoco come a Lytton, se sei nel cavo fresco vai a bagno come a Schuld. E perché la corrente a getto polare rallenta? Molto probabilmente perché la banchisa artica si sta riducendo e l’oceano Artico si sta riscaldando, così diminuisce la differenza di temperatura tra Equatore e Polo Nord e si affievolisce per così dire il “tiraggio” delle correnti atmosferiche che regolano il clima, da cui il mutamento dei loro percorsi millenari sui quali abbiamo calibrato la nostra civiltà. Tutto è legato in atmosfera. Ciò che succede in remote regioni disabitate si riflette poi nel cielo sopra Liegi. Ma sono le emissioni del petrolio bruciato a Liegi, a Milano o a Pechino a causare il riscaldamento globale che amplifica e rende più frequenti gli eventi meteorologici distruttivi. Di cronache come queste ne abbiamo già scritte tante, e sempre avviene che dopo qualche giorno, ripulito il fango e fatti i funerali delle vittime ci si dimentica di tutto e si torna a vivere come prima al grido di “crescita, crescita!”. Bisognerebbe una volta per tutte mettere in relazione queste catastrofi climatiche con il nostro stile di vita e con la nostra economia insostenibile.
Da un lato i politici costernati dicono che bisogna occuparsi del clima, dall’altro invocano proprio quella crescita economica, che – come ha affermato anche la Agenzia Europea dell’Ambiente – è la causa dell’inquinamento e del riscaldamento globale. E se vengono annunciate nuove misure di contenimento e tassazione delle emissioni come ha fatto un paio di giorni fa la Commissione europea, tutti pronti a protestare per i costi aggiuntivi. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Lo vieta la termodinamica. Se vogliamo proteggere il nostro presente e soprattutto il futuro dei giovani da una crisi climatica sempre più severa e pericolosa, occorre saper rinunciare a qualcosa del nostro attuale stile di vita energivoro e dissipativo. Il tentativo di dare una mano di vernice verde al business-as-usual non può funzionare. La transizione ecologica è come una dieta ferrea, va percorsa con convinzione e con determinazione, non è e non sarà una passeggiata. Però se pilotiamo noi il processo invece che lasciar fare alle mazzate climatiche, avremo ancora la possibilità di tagliare il superfluo per garantirci il necessario. Altrimenti, quando il placido torrente decide di entrarti in casa, non chiederà permesso e si porterà via tutto.