Siamo certi che le contraddizioni della morale borghese in epoca vittoriana siano superate? Varrà la pena ascoltarle attraverso il racconto sapiente dell’attore, autore e regista Gabriele Lavia, che martedì alle 21 con Le Favole di Oscar Wilde chiuderà la rassegna “Tutta scena – Il teatro in camera al Proietti Globe Theatre”, progetto realizzato da Loft Produzioni (i biglietti sono acquistabili su TicketOne).
Il gusto per la favola dello scrittore accomuna gran parte della sua produzione – secondo Lavia –, a partire dalla trama inverosimile del Ritratto di Dorian Gray. Sul palcoscenico questa volta, però, non ci sarà il Wilde a cui siamo abituati, bensì quello apparentemente minore delle favole. Due titoli “o forse di più – precisa –, purché fino a martedì si mantenga la riservatezza sulle scelte”.
L’artista torinese ha ritrovato il poeta irlandese tra gli scaffali della libreria di casa: “Camminando per il corridoio che è pieno di libri, mi sono chiesto cosa fosse quel tomo che sporgeva. Spesso mi capita di guardare i libri che sporgono perché lì ci sono buone idee, credo si mettano così per farsi notare e ho trovato le favole del nostro Oscar”. Storie complesse e fantastiche, accomunate dal dolore per le discriminazioni subite anche in vita. “Credo che a un certo punto la favola sia diventata il suo genere prediletto – spiega Lavia –: sono destinate ai bambini e ai grandi che hanno ancora una fantasia viva, sveglia”.
Wilde ha raccontato attraverso i suoi personaggi il grande tema dell’accettarsi e del farsi accettare pur essendo diversi dai canoni, da quello che la società considera “normale” e dunque dalla collettività omologata. La sua storia personale, divisa tra la vita coniugale e l’omosessualità, ne è un esempio. Scrisse le fiabe quando la sua fama era già consolidata. Lo fece per i figli Cyril e Vyvyan attraverso trame malinconiche o, viceversa, divertenti; comunque strabilianti. Sono memorabili i suoi principi ingenui, le regine in incognito, i giganti insicuri, i razzi lacrimosi. Il bersaglio è sempre l’ipocrisia borghese a tal punto colma di sovrastrutture da castrare la fantasia e l’ingenuità tipiche dell’età infantile che, con le favole, viene sapientemente recuperata. “C’è una difficoltà a essere accettati – dice Lavia – anche quando si è belli o intelligenti fuori dal comune e il povero Oscar Wilde ci viene a dire che ognuno ha la sua diversità”.