Diceva il barone Pierre de Coubertin, fondatore dei Giochi olimpici moderni, che l’importante non è vincere, ma partecipare. A Tokyo devono aver travisato il concetto, se l’importante ormai è solo fare le Olimpiadi. A qualunque costo. Nonostante l’emergenza coronavirus, un Paese ospitante contrario, i contagi che fioccano e una serie di regole e divieti assurdi, incompatibili con lo spirito olimpico, forse proprio con lo sport. I Giochi di Tokyo 2020 (che poi sarebbe 2021, persino il nome fa finta di nulla), i Giochi del Covid, dove vince chi non si contagia e nessuno festeggia, si disputeranno lo stesso.
Venerdì 23 luglio la cerimonia inaugurale: circa 11mila atleti da 207 nazioni sfileranno nel nuovo stadio olimpico di Tokyo, gioiellino da 70mila posti, costato quasi un miliardo e mezzo di dollari. Completamente deserto nella grande occasione per cui era stato costruito. L’immagine più potente e rappresentativa di un’edizione maledetta, che per tanti non avrebbe neanche dovuto svolgersi. Per la prima volta nella storia non ci saranno tifosi. Per gli stranieri era prevedibile, si pensava a una capienza limitata per i locali ma alla vigilia le autorità hanno vietato pure quella, prorogando lo stato di emergenza. Porte chiuse.
I Giochi non dovranno danneggiare il Giappone. Non dovranno sfiorare il Giappone. È la condizione a cui si svolge l’Olimpiade ma è l’esatto opposto di un’Olimpiade, che dovrebbe abbracciare un Paese, e magari cambiarlo. Invece per Tokyo i Giochi e i suoi protagonisti sono ospiti indesiderati. I pochi che ci sono andati, non si sa se privilegiati o malcapitati, raccontano il “clima”. Sarebbe ingeneroso definirlo ostile, perché i giapponesi sono sempre gentili, è più forte di loro. Ma certo sfavorevole. Soltanto per uscire dal girone dantesco dei controlli aeroportuali ci vogliono dalle 4 alle 6 ore. Poi, per tutto il soggiorno non si è più soli. Ti accompagnano due App obbligatorie sul telefonino: Cocoa, una sorta di Immuni giapponese, ma più efficiente, e quindi invadente; e poi Ocha, dove inserire quotidianamente le informazioni di salute e soprattutto l’activity plan, l’elenco dettagliato degli spostamenti. Si può uscire solo per attività dichiarate e autorizzate: allenamento, gara, conferenza, organizzazione. Per il resto chiusi, in hotel o nel villaggio olimpico. Atleti e addetti ai lavori hanno ricevuto un apposito playbook di regole, da ridere se non ci fosse da piangere: vietato parlare in luoghi ristretti, vietato mangiare in compagnia, vietato persino infilare la medaglia al collo dei vincitori. I campioni dovranno prendersela da soli, da un vassoio.
Si potrebbe dire che l’obiettivo è salvaguardare l’evento, e sicuramente lo è. Anche se non sta andando benissimo. Il Cio aveva predisposto un’enorme bolla: con l’85% di vaccinati, tutti i controlli in partenza e in arrivo, un tampone (salivare) al giorno, il Villaggio avrebbe dovuto essere a prova di Covid. Invece il virus è entrato lo stesso. L’ultimo caso riguarda proprio l’Italia: un giornalista (partito con tampone negativo) è stato trovato positivo a Tokyo e isolato, dopo aver viaggiato con la nazionale di basket, ciclisti e nuotatori, ora monitorati. Ma l’elenco è lungo: calciatori sudafricani, atleti britannici, una ginnasta Usa, sono già 58 i positivi. Quella dei Giochi Covid free era evidentemente un’illusione e sarà un fattore terribilmente aleatorio sulle gare: una medaglia si vincerà o si perderà anche per il coronavirus. Il vero obiettivo, però, non è proteggere le Olimpiadi ma proteggere il Giappone dalle Olimpiadi e lo si capisce dalle misure a cui sono sottoposti i suoi partecipanti. Che non possono andare al ristorante (tanto sono chiusi), fare una passeggiata in centro, ma nemmeno prendere mezzi pubblici, o salire in ascensore con abitanti locali. Mezzi dedicati, percorsi separati: parlare di apartheid delle Olimpiadi è brutto, ma non eccessivo.
In Giappone si viaggia a una media di 2-3 mila casi al giorno, non tantissimi, sufficienti però a causare un mini-lockdown, anche a causa delle Olimpiadi. Tokyo è arrivata male all’evento, con una bassa percentuale di vaccinati (poco più del 20% con ciclo completo), e ha scelto di affrontarlo con la massima severità. Per un popolo già frustrato dalle restrizioni, i Giochi sono diventati la causa di una nuova stretta, per cui non si possono più nemmeno comprare alcolici. Come potrebbero essere felici: per l’ultimo sondaggio di Kyodo News, l’87% è preoccupato e il 68% dubita dell’efficacia delle misure. Persino la Toyota, una delle principali aziende del Paese e sponsor olimpico, ha deciso di non trasmettere i suoi spot durante le dirette in Giappone.
Se c’è un Paese intero che non li vuole, nessuno può vederli dal vivo, le gare sono svuotate e gli sponsor quasi si vergognano, viene da chiedersi perché i Giochi si facciano comunque. Esiste una risposta romantica e una cinica. La prima è: per gli atleti. Quelli dei cosiddetti “sport minori”, che vivono e faticano per quattro anni lontani dai riflettori, che pianificano l’intera carriera e anche la vita privata (matrimoni, figli, ritiri, tutto) intorno a questo momento. Andatelo a dire a loro che questi Giochi non si devono fare. I veri protagonisti sono i campioni, e non vanno a Tokyo in gita. Con o senza spettatori, nonostante i divieti, i controlli, gli imprevisti, la festa negata, per loro saranno vere Olimpiadi. “L’Olimpiade salverà le Olimpiadi”, assicura Malagò, n.1 del Coni.
Poi però arriva la seconda risposta, la più disillusa ma probabilmente la più veritiera: i soldi. Le Olimpiadi sono un business che semplicemente non si poteva cancellare. I Giochi saranno un bagno di sangue per il Giappone, che ha speso circa 15 miliardi di dollari, tre solo nell’ultimo anno causa rinvio, per un grande evento di cui non sa più che farsi. Deve già fare i conti con le perdite del botteghino (500 milioni in meno), e il divieto di ingresso dall’estero che ha spazzato via l’indotto turistico. La cancellazione avrebbe costretto a stracciare anche i contratti per i diritti tv (che da soli valgono 4 miliardi), senza dimenticare gli sponsor e le penali per le prenotazioni, aprendo una voragine nei conti del Comitato organizzatore. La classica beffa, oltre al danno. Mentre per il Cio, che sulle Olimpiadi poggia il suo bilancio, quasi 6 miliardi di dollari nell’ultimo ciclo, sarebbe stata semplicemente una rovina, e a catena per tutto il mondo olimpico, compreso il nostro Coni. Meglio farli comunque questi Giochi, anche se non ci sarà nulla da festeggiare. Del resto, è pure vietato.