“Batte in testa” l’Amministrazione Biden, dopo sei mesi di Casa Bianca: “L’Ovest è in fiamme, i casi di Covid sono in aumento su scala nazionale, specie fra quanti non sono vaccinati, con picchi letali in Florida e nel Missouri” e la presa di Donald Trump su elettori e congressman repubblicani non accenna a stemperarsi: lo osserva sul New York Times Maggie Astor, scrivendo che “le sirene d’allarme suonano troppo forte per essere ignorate”. Nella sua analisi, la Astor mette insieme fenomeni contingenti e stagionali – gli incendi estivi, che devastano in particolare la California –, il riacutizzarsi della pandemia – che può frenare la ripresa dell’economia– e situazioni politiche strutturali, in vista di una stagione in cui la Corte Suprema a maggioranza conservatrice potrebbe essere chiamata a pronunciarsi su diritto di voto e aborto.
Diversi Stati a guida repubblicana tendono a rendere più difficile l’accesso alle urne delle minoranze nera e ispanica. Il diritto all’aborto, già fortemente limitato in molti Stati – Kentucky, Alabama e altri – rischia, invece, di perdere la sua fragile base giuridica – una sentenza del 1973 –, se il ricorso alla Corte Suprema del Mississippi che si trascina dietro altri 24 Stati dovesse avere successo – lo spauracchio lo agita The Hill, la rivista degli insider di Washington Dc –.
L’impressione è che Biden, nonostante i successi dei primi cento giorni – la campagna vaccinale riuscita al di là delle previsioni – e la raffica di decreti per smantellare i provvedimenti più discutibili del suo predecessore, in materia di ambiente, migranti e diritti civili, non stia riuscendo del tutto a smontare “l’eredità trumpiana”: non riesce a rendere né l’America né il Congresso meno polarizzati e fatica a soddisfare le sue “constituencies” più esigenti, che sono le minoranze nera e ispanica e la sinistra – più socialista che liberal– del suo partito.
C’è di mezzo anche il suo tradizionale essere “sor tentenna”: una reminiscenza di quello “Sleepy Joe” che l’elezione pareva avere trasformato in un “Tiger Joe”. Il riflesso decisionista c’è ancora, ma lo si vede soprattutto in politica estera, nei toni fermi verso Cina e Russia e nella determinazione con cui mantiene la barra del ritiro dall’Afghanistan nonostante la prospettiva di un ritorno al potere dei talebani. Mentre in Congresso non c’è un consenso per mettere in piedi una commissione d’inchiesta credibile su quanto accadde il 6 gennaio, quando migliaia di facinorosi sostenitori del presidente Trump presero d’assalto il Campidoglio per costringere Camera e Senato a cambiare l’esito delle elezioni, il Washington Post pubblica un sondaggio inquietante: aumenta il numero di quanti credono che le presidenziali siano state davvero truccate e che Trump le abbia vinte e pensano che le violenze del 6 gennaio siano state sobillate da provocatori “pro Biden”, agenti dell’Fbi e di altre agenzie federali ostili a Trump. Lisa Lerer, sul New York Times, scrive: “Quel che accadde lo abbiamo visto tutti, ma pare che non tutti abbiamo visto la stessa scena”, citando improbabili testimonianze di protagonisti di quel giorno che paiono uscire da una realtà parallela.
Gli “ultrà trumpiani” sono minoranza nel Paese, ma sono grossa parte dell’elettorato repubblicano. E il magnate ex presidente è ancora in grado di esercitare un controllo sui gruppi parlamentari, specie alla Camera: tutti i deputati devono affrontare l’anno prossimo, nelle elezioni di midterm, il rinnovo del mandato. Più che il confronto coi democratici, i repubblicani temono le primarie del loro partito: i critici di Trump rischiano di uscirne battuti da sfidanti allineati all’ex presidente.
Il quadro non è però così fosco come appare. In un’analisi sul New York Times, David Leonhardt osserva che la Corte Suprema, nonostante le nomine di Trump ne abbiano rafforzato il profilo “di destra” – sei giudici conservatori contro tre progressisti –, ha fin qui mostrato un’indipendenza di giudizio notevole, specie nella vicenda elettorale: non ha mai avallato i proclami di Trump su frodi massicce.
Anche sui temi dell’Obamacare – l’assistenza sanitaria universale –, dei migranti, dei diritti civili, le decisioni della Corte hanno spesso deluso i conservatori e rinfrancato i liberal: “Fin qui, non è andata così male come si temeva”, rileva David Cole, dell’American Civil Liberties Union. Leonhardt che attribuisce ciò all’impegno del presidente della Corte John Roberts per rafforzarne l’immagine “non partisan”. Ma si avvicinano giudizi sul diritto di voto e sull’aborto che possono riaccendere l’animo conservatore dei giudici scelti da Trump, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e soprattutto Amy Coney Barrett.