Il 2 agosto, anniversario della più grave strage italiana, quella del 1980 alla stazione di Bologna, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha firmato una direttiva in cui dispone la desegretazione dei documenti sull’organizzazione Gladio e sulla loggia massonica P2: “Appare necessario che sia adottata ogni iniziativa che possa rivelarsi utile alla ricostruzione di vicende che hanno rappresentato passaggi drammatici della recente storia del Paese”. Per questo, Draghi “dispone la declassifica dei documenti” ancora segreti su Gladio e P2 e il loro “versamento anticipato all’Archivio centrale dello Stato”.
È una buona notizia. Con la direttiva del 2 agosto – data simbolica – Draghi amplia gli effetti della direttiva Renzi del 2014, che disponeva la declassificazione dei documenti sulle stragi, da piazza Fontana a Bologna. Ma come si è arrivati a questa decisione? E che effetti concreti potrà avere?
La direttiva Draghi accoglie, almeno in parte, una delle richieste che da due anni sono state fatte dal “Comitato consultivo sulle attività di versamento”, composto dai dirigenti dell’Archivio di Stato, da storici, esperti e rappresentanti delle associazioni dei famigliari delle vittime di Brescia, Ustica e Bologna: non basta togliere il segreto sui documenti delle stragi — sostiene il comitato — se poi manca tutto il contesto in cui queste sono state realizzate. “Non saranno versati”, denunciava al Fatto già nel 2017 un componente della commissione, l’ex magistrato Leonardo Grassi, “i documenti sulle strutture di guerra non ortodossa, cuore segreto della strategia stragista: da Gladio ai Nuclei per la difesa dello Stato, dalla Rosa dei venti all’Anello, dal Mar di Carlo Fumagalli a Pace e libertà di Luigi Cavallo. Tutte strutture degli apparati dello Stato o con forti connessioni con apparati dello Stato”. E poi “niente sui due principali gruppi dell’eversione italiana, Ordine nuovo di Pino Rauti e Avanguardia nazionale di Stefano Delle Chiaie, entrambi con consolidati rapporti con servizi e apparati”.
E ancora: “Nessun fascicolo personale dei protagonisti delle stragi e dell’eversione, da Licio Gelli a Francesco Pazienza, dal comandante Junio Valerio Borghese al colonnello Amos Spiazzi, dal colonnello dei carabinieri Giuseppe Belmonte al generale del Sismi Pietro Musumeci, niente su Vito Miceli e Gianadelio Maletti, su Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, sul Piano Solo, sul golpe Borghese, sul banchiere Michele Sindona”. Sono tanti i “buchi” che impediscono di ricostruire un quadro completo. È clamoroso, per esempio, che l’archivio del ministero dei Trasporti sia letteralmente scomparso: e molti attentati e stragi sono avvenuti sui treni e nelle stazioni.
Ora almeno due temi, Gladio e P2, dovrebbero diventare più trasparenti. Ma restano i dubbi sui tempi (quanto ci metteranno le diverse amministrazioni centrali e periferiche a decidere che cosa declassificare, a digitalizzare e versare all’Archivio centrale dello Stato?) e sui finanziamenti (è un’operazione che costa e che senza fondi adeguati è destinata a restare un progetto irrealizzato). Su tutto incombe poi il problema dei problemi, già sollevato a proposito della direttiva Renzi: che cosa sarà declassificato? A deciderlo saranno gli stessi che hanno classificato: chiediamo dunque la verità a chi fino a oggi l’ha nascosta, domandiamo di svelare i segreti dell’eversione a quelli che ieri hanno organizzato i depistaggi e nascosto documenti e prove alla magistratura che indagava.
L’annuncio di Draghi, dunque, è una buona notizia. Ma è solo la promessa di un’operazione-verità ancora tutta da realizzare, per passare dall’annuncio ai fatti.