Sono già tre settimane che Roula non ha quasi più l’elettricità nella sua casa di Ashrafieh, un quartiere elegante di Beirut. “Da diversi mesi le interruzioni di corrente sono molto frequenti, ma da qualche settimana la situazione è peggiorata. Sono rimasta al buio anche tre giorni di seguito. Negli ultimi tempi abbiamo sì e no un’ora e mezza di corrente al giorno”. Nel caldo soffocante del luglio libanese, Roula, 50 anni, docente universitaria, trascorre giorni e notti senza poter accendere il condizionatore d’aria. “Ma il problema più grosso – dice – è il cibo, dal momento che non possiamo conservare nulla in frigo”. Stando alla Banca mondiale, il Libano sta sprofondando in una delle peggiori crisi economiche e finanziarie al mondo mai registrate dal 1850.
Da maggio la carenza di elettricità si sta ancora aggravando. Sul web si moltiplicano foto e video che mostrano come questi tagli stanno incidendo sulla vita quotidiana dei libanesi. In uno si vede un paziente asmatico costretto a attaccare il suo respiratore alla presa di corrente della moschea. Tante famiglie dormono sul balcone alla ricerca di un po’ di fresco. All’origine del problema c’è la carenza di combustibile destinato ad alimentare le centrali del Libano, in un contesto di grave crisi di liquidità che dura ormai da due anni. L’importazione del carburante è garantita dagli anticipi del Tesoro, versati dalla Banca del Libano. Ma quest’ultima sta ritardando l’apertura di linee di credito destinate a finanziare l’approvvigionamento di carburante per salvare le sue magre riserve in dollari. La situazione ha costretto l’Elettricità del Libano (EDL), l’ente pubblico responsabile della fornitura di energia elettrica, a razionare fortemente la sua produzione. EDL riesce a malapena a produrre 700 megawatt (MW), ovvero tra due e tre ore di elettricità al giorno, mentre il suo parco energetico ha una capacità di produzione di circa 1.900 MW. Di fronte al razionamento statale, sono subentrati i generatori di corrente privati. Non è del resto la prima volta che in Libano è necessario ricorrere ai privati per far fronte ai tagli statali: il deficit di produzione di EDL risale a molto prima della crisi attuale. Secondo la Banca mondiale, nel 2018, il razionamento quotidiano variava già da tre a undici ore, con importanti disparità tra una regione e l’altra. Nelle ultime settimane, i generatori privati funzionano a pieno regime, ma non riescono a soddisfare il fabbisogno crescente e i proprietari sono costretti a loro volta a razionare la produzione. Anche l’approvvigionamento in olio combustibile è diventato complicato. Il problema non colpisce solo i privati, ma anche, e molto duramente, le aziende, i ristoratori e gli ospedali. “La situazione è catastrofica”, conferma Sami Rizk, direttore esecutivo del Lebanese American University Medical Center-Rizk Hospital (LAUMC-RH). La fornitura di elettricità ormai dipende quasi esclusivamente dai generatori dell’ospedale. A causa della scarsità di carburante, l’ospedale è costretto a ricorrere in parte al mercato nero, dove però i prezzi sono raddoppiati. Ma anche sul mercato nero l’olio combustibile è una merce rara. Al di là della questione strettamente finanziaria, l’approvvigionamento in energia è diventato una lotta quotidiana per evitare il rischio di un blackout. “Il nostro stock ha raggiunto la soglia critica di una settimana. Per questo abbiamo dovuto ridurre il consumo in alcuni reparti amministrativi. Per fortuna, per ora, i reparti destinati ai pazienti sono risparmiati”, continua Sami Rizk. A luglio, dopo diversi mesi di trattative, il Libano è riuscito a ottenere un accordo con l’Iraq: in cambio di aiuti sanitari, il paese riceve un milione di tonnellate di carburante iracheno, che corrisponde ad una decina di ore di energia al giorno per quattro mesi.
Una soluzione che permette di non attingere ai preziosi dollari conservati nelle riserve della banca centrale libanese. Ma che solleva altre questioni, e non meno importanti, dal momento che il carburante iracheno, carico in zolfo, non è adatto alle centrali elettriche libanesi. La penuria di dollari pone anche problemi alla remunerazione dei fornitori, che viene garantita dalla Banca del Libano per conto di EDL. Così, a maggio, Karpowership, una filiale dell’operatore turco Karadeniz, da cui il Libano acquista il 25% della produzione nazionale tramite navi generatrici di elettricità ormeggiate alle sue coste, ha interrotto la sua produzione per quasi un mese e mezzo. L’azienda reclamava, tra le altre cose, i 170 milioni di dollari di arretrati accumulati dallo Stato libanese nell’ultimo anno e mezzo. La situazione attuale riflette in realtà disfunzioni strutturali più profonde. Per più di dieci anni i diversi ministri dell’Energia hanno promesso ai libanesi, oggi costretti a vivere al buio, che avrebbero avuto accesso all’elettricità ventiquattro ore su ventiquattro. La verità è che, a distanza di anni, quasi nessun investimento è stato realizzato per poter mantenere questa promessa. Gli affari lucrosi legati alla costruzione di nuove centrali elettriche, in preda ad un continuo braccio di ferro politico, si sono impantanati in procedure contrattuali opache. Questa inazione dello Stato si spiega anche perché allo fine lo status quo avvantaggia alcuni interessi privati, in particolare, quelli dei proprietari dei generatori, come nel caso del mercato dei combustibili, che secondo la Banca Mondiale rappresentava 2 miliardi di dollari nel 2019, e nel quale alcuni partiti politici posseggono delle parti importanti. “Le soluzioni tecniche esistono. A bloccare la riforma del settore sono esclusivamente fattori politici”, spiega Marc Ayoub, ricercatore in politiche energetiche presso l’Issam Fares Institute for Public Policy and International Affairs dell’Università americana di Beirut (AUB). Di fatto i governi non hanno fatto nulla per mettere in atto soluzioni durature, continuando a privilegiare soluzioni costose, come l’acquisto di elettricità dalle navi generatrici di corrente di Karpowership, di cui, lo scorso marzo, alcuni responsabili sono stati citati in un’inchiesta giudiziaria in Libano per corruzione e riciclaggio di denaro. Il noleggio di queste navi-centrali è costato al Libano più di 1,5 miliardi di dollari dal 2013: una somma con la quale il paese avrebbe potuto costruire quasi tre centrali termiche.
I costi di produzione del parco energetico libanese sono dunque altissimi: “Si va dai 13 centesimi per kilowattora (kWh) per le navi, fino ai 21 centesimi/kWh per alcune strutture ormai obsolete che, in assenza di alternativa, non sono mai state smantellate. A titolo di confronto, i costi di una centrale nuova ammontano a 7 centesimi/kWh”, spiega Marc Ayoub. A questi costi vanno aggiunte le spese legate ai problemi tecnici che emergono sulla rete, causati da infrastrutture fatiscenti, ma anche i furti e le fatture non incassate. Con un prezzo di vendita dell’elettricità fissato a 9,5 centesimi/kWh, EDL registra un deficit colossale. Secondo un rapporto della Banca Mondiale, i trasferimenti di fondi accordati all’organismo per coprire le perdite rappresentano quasi il 40% del debito pubblico accumulato dal 1992. La situazione è diventata insostenibile in un paese in bancarotta, inadempiente sul proprio debito in valuta estera nel marzo 2020. Il settore è dunque al centro di un piano di riforme a cui la comunità internazionale condiziona l’attribuzione di un piano di assistenza finanziaria da parte del Fondo monetario internazionale (FMI). Ma questi aiuti sembrano per il momento ancora lontani: il Libano sta ancora aspettando la formazione di un nuovo governo, a quasi un anno dalle dimissioni dell’esecutivo di Hassane Diab, dopo la terribile doppia esplosione nel porto di Beirut.
(Traduzione di Luana De Micco)