In Italia il problema non sono i sussidi, ma i miseri stipendi

13 Agosto 2021

Il concetto lo espresse benissimo molti anni fa Henry Ford: “Non è l’azienda che paga i salari. L’azienda semplicemente maneggia denaro. È il cliente che paga i salari”. Se le cose stanno così viene allora da chiedersi perché sempre più spesso i nostri politici sostengano che gli imprenditori del turismo non trovano lavoratori stagionali a causa del Reddito di cittadinanza.

Nelle località di mare si registra il tutto esaurito. Secondo il Codacons oggi per fare dieci giorni di vacanza si spende in media l’11 per cento più che lo scorso anno. I danni economici causati dalle restrizioni dovute alla pandemia sono stati fortissimi nelle città dove bar e ristoranti hanno subito cali verticali di fatturato, ma sono stati quasi inesistenti per chi lavora davvero solo nella bella stagione.

Insomma se davvero, come affermano Matteo Renzi e Matteo Salvini, la carenza di stagionali esiste, ed è causata dai 550 euro al mese erogati in media alle famiglie povere, per risolverla almeno nelle località di mare basterebbe aumentare gli stipendi. Come del resto suggerito poche settimane fa agli imprenditori americani non da un pericoloso bolscevico, ma da un uomo affezionato al capitalismo come il presidente Usa, Joe Biden.

Proposte del genere però nel nostro Paese non trovano spazio. E invece impera la demagogia.

Ai primi di giugno, per basarsi sui fatti e non sulle opinioni, alcuni colleghi de Ilfattoquotidiano.it si sono armati di microfoni e telecamere nascoste e sono andati a verificare sul campo la realtà degli stagionali. Tre giornalisti hanno sostenuto un centinaio di colloqui di lavoro da Nord a Sud. L’esperienza è documentata sul sito e francamente fa cadere le braccia. In nessun caso sono stati loro offerti contratti in regola.

In Emilia Romagna l’assunzione è sempre una sorta di part-time. Al massimo sei ore e 40 al giorno quando invece se ne lavorano 12 o 13. Il giorno di riposo, previsto dal “finto” contratto, non esiste. Il compenso solo raramente arriva a 1.500 euro al mese, pari a 4 euro l’ora, in parte in assegno in parte in contanti. Più comuni sono invece le offerte da 1.000 euro. Peggio ancora va nel Sud. Negli stabilimenti balneari siciliani visitati dai cronisti, si lavora sette giorni su sette per 14 ore al giorno per 900 euro. A volte, ma è raro, viene offerto un contratto di poche ore per aggirare i controlli in caso di visita degli ispettori del lavoro.

Meglio vanno le cose in Versilia. Qui già a giugno era difficile trovare un posto da stagionale. Su settantacinque stabilimenti contattati solo 19 cercavano ancora lavoratori, ma quindici di essi offrivano contratti metà in nero e metà in chiaro tra i 700 e i 1.000 euro al mese per 12 ore di lavoro al giorno. L’inchiesta sul campo de Ilfattoquotidiano.it ha insomma documentato che il Reddito di cittadinanza e l’asserita carenza di stagionali hanno ben poco in comune.

È vero però che questo tipo di lavoratori, se disoccupati, si sono visti erogare negli ultimi 12 mesi come bonus Covid 8.600 euro in varie tranche. Tra di loro dunque c’è certamente chi si è fatto due conti: meglio stare a casa e percepire i bonus piuttosto che spezzarsi la schiena per tre-quattro mesi per 4 euro l’ora. Ma il politico accorto, che opera per il bene dei cittadini, dovrebbe capire che la questione non sono i bonus o i sussidi, ma gli stipendi da fame. E, visto che ce lo ha suggerito pure l’Europa, dovrebbe battersi per il salario orario minimo garantito, già presente in 21 stati su 27. Lo faranno Mario Draghi e la maggioranza in Parlamento? Noi ci speriamo. Ma ne dubitiamo.

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