Mi sono sbagliato. Mi ero detto che non serviva scrivere qualcosa sul caso del sottosegretario Durigon. Pretendendo che fosse cancellata l’intitolazione di un parco pubblico a Falcone e Borsellino, due campioni dell’antimafia celebrati in tutto il mondo come eroi, l’ aveva fatta troppo grossa. Per di più chiedendo che ai loro nomi fosse sostituito quello del fratello del Duce, fascistissimo anche lui e “specializzato” in tangenti. Ero infatti sicuro che alle sacrosante proteste di associazioni e cittadini preoccupati della credibilità dello Stato per cui Falcone e Borsellino hanno sacrificato la vita (mentre la dittatura fascista lo aveva portato alla rovina) sarebbe inevitabilmente seguita qualche iniziativa di una qualunque Autorità istituzionale – fra quelle dotate dei poteri occorrenti – che, semplicemente per coerenza verso la Costituzione, rimettesse a posto le cose invitando l’incauto sottosegretario a farsi da parte. Invece i giorni passano e tutto continua a tacere.
So bene che a settembre potrebbe essere presentata , in uno dei rami del Parlamento, una mozione di sfiducia contro il sottosegretario. Ma proprio qui sta il punto: non può e non deve essere una decisione di parte lasciata alle polemiche fra i partiti: perché su tutto ci si può dividere, ma non su questioni che sono essenziali per la qualità e l’esistenza stessa della nostra democrazia. Ora, la mafia e la dittatura fascista sono ambedue la negazione assoluta e al tempo stesso un nemico esiziale dei principi di libertà e uguaglianza posti dall’articolo 3 a fondamento della Costituzione. Ontologicamente, quindi, non sono – ripeto – questioni che si possano lasciare alle polemiche partitiche, cioè di parte. Farsene carico spetta, prima che a chiunque altro, a coloro che sono istituzionalmente “super partes”, a coloro che rappresentano gli interessi di tutti e l’unità dello Stato.
La linea l’ha data il Capo dello Stato il 23 maggio scorso nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo, proprio rievocando Falcone e coloro che furono falciati con lui dall’attentatuni di Capaci, con parole chiare e univoche: “la mafia esiste tutt’ora …o si sta contro la mafia o si è complici dei mafiosi”. Un pensiero che corrisponde all’insegnamento che Borsellino ha consegnato ai giovani quasi come un testamento spirituale, dicendo che “ la lotta alla mafia non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che tutti aiuti a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si contrappone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. E di certo non occorre sottolineare le parole “tutti” e “complicità” per cogliere la straordinaria sintonia di Borsellino con il Capo dello Stato.
Lo scrittore Andrea Camilleri ha paragonato l’uccisione di due pilastri dell’antimafia come Falcone e Borsellino all’abbattimento delle Torri Gemelle. Cosa accadrebbe se un Durigon americano (componente dello staff presidenziale) proponesse di cambiare l’intestazione di un monumento alle vittime dell’11 settembre che so, col fratello di Pinochet? Di sicuro non si aspetterebbe un’iniziativa di parte (democratica o repubblicana) al Congresso, ma si interverrebbe subito ai massimi livelli istituzionali.
Lo storico Salvatore Lupo, partendo dalla constatazione che il martirio di molte delle vittime di mafia testimonia che ci sono state persone disposte a morire per il loro dovere e per lo Stato, ancorché spesso malamente rappresentato, sostiene che in questo modo le vittime di mafia hanno restituito allo Stato credibilità; e con il loro sacrificio hanno dato un senso alla frase “lo Stato siamo noi”. Per favore, chi può e deve faccia in modo che non resti senza risposta il fatto che un sottosegretario di questo nostro Stato cancelli – insieme ai nomi di Falcone e Borsellino – una credibilità così tragicamente ritrovata.