La sveglia suona e voi vi trascinate fino alla cucina per farvi un caffè. Niente di male, anche se che quello non sarà l’ultimo della giornata. Metà mattina, dopo pranzo, magari un latte macchiato alle cinque. E già solo voi, uno dei quasi miliardi di abitanti della Terra, ne avete prese quattro tazze. D’altronde, il caffè è la seconda bevanda più consumata al mondo, se ne bevono circa 2,5 miliardi di tazze al giorno, e quasi il 60% arriva dal Brasile. Purtroppo, però, mentre un tempo le piantagioni erano ai bordi delle foreste, ora si coltiva al sole, il che significa che la produzione del caffè è strettamente legata alla deforestazione. Secondo il report del Wwf Quanta foresta avete mangiato, usato o indossato oggi?, nel 2050 la produzione di caffè dovrà triplicare, ma il 60% dell’area idonea è coperta da foreste. E se le temperature aumentano, il 47% dei terreni potrebbero diventare inadatto. Insomma, se volete evitare di contribuire alla deforestazione, una buona scelta è eliminare, o almeno ridurre, il caffè.
Se pure la scrivania è “colpevole”
Dici caffè dici, talvolta, sigaretta. Non per rovinarvi la pace di un momento che magari aiuta ad affrontare la giornata, ma purtroppo anche il tabacco contribuisce alla deforestazione, come ha ben spiegato di recente l’oncologa Giulia Veronesi nel libro “Hai da spegnere?” (ma anche, nel 2018, l’Oms). Infatti, i piccoli coltivatori hanno bisogno di spostarsi in aree di terreno vergini per espandere la produzione, per non parlare del fatto che il tabacco va essiccato in forni che richiedono tonnellate di legna.
Con la sigaretta andata di traverso è arrivato il tempo di iniziare a lavorare. Vi sedete alla scrivania, probabilmente di legno. Ma conoscete la provenienza? Anche l’industria del legno e dei prodotti derivati è responsabile, sempre secondo il Wwf, del degrado forestale. L’Italia importa materie grezze e semilavorate (e poi esporta prodotti finiti), ma anche legna da ardere, pellet e scarti di legno. E il Sud America è la regione che contribuisce in maggiore misura alla deforestazione associata all’import italiano.
Carne italiana, mangime importato (e geneticamente modificato)
Forse vi è venuta un po’ d’ansia e decidete di uscire. Se però indossate un paio di scarpe eleganti o sportive fatte con pelle, sappiate che il pellame bovino, il 70% della materia prima lavorata dall’industria conciaria, è importata dal Brasile. E se le nostre aziende che producono pelli investono su efficienza energetica, consumo di acqua, materiali chimici, ricorda sempre il Wwf, non si occupano invece del problema della deforestazione prodotta dalla materia prima.
A questo punto, comunque, è ora di pranzo e volete proprio staccare. Occhio al menù, però. La carne, forse lo sapete già, è una delle cause di deforestazione perché si abbattono alberi per coltivare il mangime che serve agli animali. Si tratta soprattutto di soia, che non è quella del tofu per vegetariani e vegani, visto che il 97% di quella che si coltiva serve per i mangimi animali ed è in stragrande maggioranza (78%) geneticamente modificata. Il che significa due cose: primo, che mangiando carne spesso noi mangiamo soia geneticamente modificata; secondo, che se pure scegliamo carne italiana rischiamo comunque di contribuire alla deforestazione perché il mangime potrebbe essere fatto da soia importata, un quinto della quale è legata a deforestazione illegale. Pensate di ripiegare sull’affettato? Non sempre è una buona scelta. Come ha ben raccontato il documentario “Deforestazione Made in Italy” del giornalista Francesco De Augustinis, la bresaola, in particolare (che fino a poco tempo fa poteva addirittura essere prodotta con qualsiasi tipo di bovino, persino con cosce di zebù congelate), può essere legata alla deforestazione, in particolare del Brasile.
Il biologico, la scelta più importante
Siete già a metà della giornata eppure, anche se inconsapevolmente, avete già dato un piccolo contributo alla deforestazione del Pianeta. Ma allora come fare? Dobbiamo proprio rinunciare a prodotti fonte di piacere o possiamo almeno optare per quelli sicuri e certificati? “Purtroppo per i consumatori è molto difficile orientarsi, ad esempio discriminare tra una pelle prodotta deforestando e un’altra, oppure capire che carne si sta mangiando, visto che un animale cresciuto in un Paese potrebbe finire l’ingrasso in un altro”, spiega Eva Alessi, responsabile sostenibilità del Wwf. “Servirebbe una regolamentazione a monte, perché noi come europei siamo grandi importatori di ‘foresta nascosta’ nei prodotti”. Già, ma aspettando leggi migliori cosa possiamo fare noi singoli? “La scelta fondamentale”, chiarisce Alessi, “che fa la differenza è acquistare biologico, sia per la carne che per i prodotti animali come latte e uova, ma anche per caffè e cacao, perché in quel caso sappiamo che è prodotto in Italia oppure in Europa e dunque non è importato da paesi a rischio deforestazione. Il biologico garantisce anche la tracciabilità del mangime. Non solo: la soia biologica non è geneticamente modificata”. Quali sono invece i marchi che ci assicurano, almeno in parte, che ciò che compriamo non causi deforestazione? “Rainforest Allianceè senz’altro una delle etichette che garantisce un’attenzione ai processi di deforestazione, si trova sul the, sul cacao, caffè”, continua Eva Alessi. “E poi c’è FSC, che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile. Vale per mobili, parquet, carta, quaderni, cartoni della pizza. Insomma, la cosa importante è leggere, informarsi, controllare le etichette che spesso ci sono, anche se non le conosciamo. E poi cominciamo ad andare sui siti delle aziende, per vedere quello che fanno, o non fanno, in termini di sostenibilità”.