Aldo Grasso sul Corriere della Sera ha dedicato un articolo alla bella puntata di Presadiretta che ha avuto come protagonista il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange. Sin dal titolo il pezzo è fortemente critico nei confronti del conduttore della trasmissione, Riccardo Iacona, accusato di “totale identificazione nelle tesi di Assange”. A Iacona viene tra l’altro rimproverato di non aver aver fatto cenno alle simpatie di Assange per la Russia e per i regimi latino-americani e di non aver coltivato dubbi sulla figura del giornalista australiano dopo aver letto un libro di Andrew Hogan in cui “Assange è descritto come un piccolo despota, incoerente, bugiardo, viziato, paranoico, una sorta di rovescio grottesco delle istituzioni che attacca”.
Grasso è un critico televisivo. E per noi la critica è sacra. Anche la sua. Se la trasmissione non gli è piaciuta, ha tutto il diritto di scriverlo. Noi non condividiamo, ma registriamo il punto di vista. Facciamo però qui notare che le eventuali, e tutte da dimostrare, pecche umane di un giornalista come Assange non possono essere il metro di valutazione del suo lavoro, a meno che non si voglia dare ragione al filosofo francese Paul Valéry secondo cui “Quando non si può attaccare un ragionamento, si attacca il ragionatore”.
Il motivo per cui Fatti Chiari ha deciso di occuparsi della critica di Grasso è però un altro. Il suo articolo, dopo aver ricordato che Assange è accusato negli Usa di “cospirazione nella violazione di un sistema informatico” (i famosi documenti segreti sulla “guerra al terrore”), si conclude con una domanda: “L’hackeraggio è grande giornalismo?”. L’interrogativo merita risposta: sì, è grande giornalismo se, come in questo caso, i documenti smascherano le bugie di chi è al potere. È grande giornalismo se, come in questo caso, i documenti hanno un interesse pubblico perché dimostrano quanto chi era al potere abbia mentito sull’Afghanistan e l’Iraq.
Assange è privato della libertà dal 2010 ed è detenuto in un carcere di massima sicurezza dal 2019. Cittadini e giornalisti di tutto il mondo, non necessariamente pacifisti come scrive Grasso, riconoscono che quelli di WikiLeaks sono stati tra i più grandi scoop della storia. E la pensano così pure tanti colleghi americani convinti che anche per Assange valga la celebre sentenza della Corte Suprema, che non sanzionò il New York Times per aver pubblicato nel 1971 i Pentagon Papers, un rapporto segreto sull’inizio della guerra del Vietnam, scatenata, al pari di quella in Iraq, sulla base di una bugia. Una sentenza in cui si legge: “Soltanto una stampa libera e senza limitazioni può svelare efficacemente l’inganno del governo. E di primaria importanza tra le responsabilità di una stampa libera è il dovere di impedire a qualsiasi parte del governo di ingannare le persone”.
Fatti Chiari non è una rubrica pacifista. Chi scrive, dopo l’attentato alle Due Torri, era contrario alla guerra in Iraq, ma era favorevole (sbagliandosi) a quella in Afghanistan, perché quel Paese nascondeva Bin Laden. Fatti Chiari però ricorda i Pentagon Papers e pensa che Assange sia un paladino della libertà di stampa. Il fatto che Grasso, come altri, sospetti un ruolo dei russi nella successiva pubblicazione da parte di WikiLeaks delle email di Hillary Clinton, che contribuirono alla vittoria di Donald Trump nelle elezioni del 2016, non sposta di una virgola questo giudizio. Perché quelle email erano autentiche e dimostravano il supporto all’Isis, sotto lo sguardo Usa, da parte di Arabia Saudita e Qatar. Erano una notizia vera che gli elettori avevano il diritto di conoscere. #freeassange