Giù i fucili

In barba a incendi e alluvioni, molte Regioni hanno anticipato la stagione della caccia

La deregulation venatoria resa possibile dai decreti di “preapertura” è andata in scena anche quest'anno, nonostante il pesante bilancio delle catastrofi ambientali della stagione estiva suggerisse di vietare (come chiedono da anni le associazioni) questa pratica predatoria, che mette a rischio l'habitat di molte specie animali

Di Dante Caserta, Vicepresidente del Wwf Italia
7 Settembre 2021

Con circa 20 giorni di anticipo rispetto a quanto stabilisce la legge, il primo settembre in tante Regioni italiane sono tornati in azione i cacciatori. O almeno ci hanno provato, visto che hanno trovato, proprio loro che non sono abituati a combattere ad armi pari, il fuoco di sbarramento dei legali delle varie associazioni ambientaliste e animaliste.

La legge fissa l’avvio della stagione venatoria alla terza domenica di settembre e visto che la chiusura generale è al 31 gennaio dell’anno successivo, gli oltre 4 mesi di caccia garantiti dalla legge non devono sembrare sufficienti a far divertire l’esercito, sempre meno numeroso e sempre più vecchio, delle doppiette italiane che, come ogni anno, hanno ottenuto da tante giunte regionali le cosiddette preaperture. Preaperture solo per alcune specie, ma che a causa degli scarsi controlli sul territorio finiscono per favorire il bracconaggio anche a specie non cacciabili.

Da pratica straordinaria cui ricorrere in particolari e documentate situazioni le preaperture sono ormai diventate la prassi: un piccolo omaggio per la lobby venatoria da parte dei vari assessori regionali alla caccia.

Una scelta particolarmente scellerata in un’annata come questa caratterizzata da forte siccità e devastanti incendi che hanno distrutto migliaia e migliaia di ettari di habitat naturali. Una situazione che, almeno nelle Regioni maggiormente colpite, avrebbe dovuto spingere i vari governatori a vietare, come chiesto dal Wwf Italia e dalle altre associazioni ambientaliste, la caccia al fine di dare un po’ di pace agli animali scampati al caldo e al fuoco. Un appello caduto nel vuoto: le giunte regionali in molti casi hanno addirittura deliberato di anticipare la caccia, spesso contro il parere dell’ISPRA, l’organo tecnico-scientifico nazionale chiamato a fornire pareri obbligatori, ma purtroppo non vincolanti, alle regioni in materia di calendari venatori.

Emblematico il caso della Tortora selvatica, uccello migratore con uno stato di conservazione sfavorevole e in declino in tutta Europa, per la quale l’Italia rappresenta un punto di riposo negli spostamenti tra l’Europa e l’Africa, viaggi che a volte possono raggiungere i duemila chilometri.

Dal ministero della Transizione ecologica e dalle associazioni ambientaliste si è evidenziata la necessità di vietare la caccia a questa specie che in Italia è anche priva di uno specifico “Piano di gestione”, mentre l’ISPRA ha rilasciato tutti pareri di non cacciabilità per la stagione 2021/22. Eppure, nonostante tutto questo, molte Regioni non solo hanno consentito la caccia, ma l’hanno addirittura anticipata ai primi giorni di settembre in una situazione ancora di piena emergenza nella quale la caccia finisce per assestare il colpo finale ad animali stremati da siccità e incendi.

Un colpo che in molte Regioni si è potuto evitare grazie alle diffide e ai ricorsi al TAR degli ambientalisti i cui legali, motivati e preparati, da agosto hanno lavorato senza sosta riportando fino ad oggi importanti vittorie nei tribunali del Veneto, dell’Abruzzo, delle Marche, della Calabria, della Sardegna, della Sicilia.

È una corsa contro il tempo e contro i comportamenti indecenti di Regioni come l’Abruzzo o la Sicilia che non si sono vergognate di ripresentare, dopo una prima bocciatura al Tar, un nuovo provvedimento fotocopia di quello bocciato, confidando sulla mancanza di tempi tecnici per una seconda impugnativa, peraltro senza successo, perché il Wwf e le altre associazioni sono riusciti ugualmente ad impugnare i nuovi atti.

Ma al di là dell’opera encomiabile svolta dalle associazioni per arginare questa deregulation venatoria, il quadro che emerge è assolutamente desolante. Le Regioni si stanno dimostrando incapaci di gestire la fauna. Sono sostanzialmente ostaggio delle peggiori richieste dei cacciatori, pur nella consapevolezza di emanare atti che saranno annullati dal giudice amministrativo. Ma ciò che conta per loro è provare ad accontentare i cacciatori, dimostrare che si è fatto di tutto per farli sparare sempre e comunque. E al di là di come la si pensi sulla caccia non è affatto un bel segnale.

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