Se dovessimo seguire la logica diremmo che non c’è storia. Un pregiudicato per frode fiscale con un braccio destro (Marcello Dell’Utri) condannato in via definitiva per fatti di mafia e uno sinistro (Cesare Previti) condannato per corruzione dei giudici non dovrebbe nemmeno pensare di avere una sola chance di diventare presidente della Repubblica. Ma la logica, così come l’etica e la morale, non hanno nulla a vedere con la politica. Silvio Berlusconi lo sa e per questo, come ci ha informato Francesco Verderami sul Corriere della Sera del 3 luglio, nel Quirinale ci spera davvero.
“Mi do il 10-15 per cento di possibilità”, ha detto a suoi interlocutori prima di fare un po’ di conti: 476 grandi elettori sente di averli in tasca, gli altri 30, indispensabili per arrivare alla quota magica di 505, conta di conquistarli (per usare un eufemismo) uno a uno. La strada ovviamente è in salita. Ma già il fatto che in Parlamento e sui giornali se ne parli senza esplodere in risate dimostra quanto l’ex presidente del Consiglio abbia ragione. Le possibilità ci sono.
Molto, se non tutto, dipende dalla decisione della Corte europea dei Diritti dell’uomo (Cedu) davanti alla quale pende il ricorso di Berlusconi contro la sua condanna per aver ingannato il fisco. Se arriverà in autunno e sarà per lui positiva la strada sarà (quasi) in discesa. Come negare la rivincita a un uomo che per Strasburgo è stato ingiustamente condannato?
Così Matteo Salvini si tiene le mani libere. “Sì, Silvio può ambire al Colle. Ha ragione a farci un pensierino”, ripete. Mentre Giorgia Meloni assicura: “Io lo voterei”, per poi però specificare “bisogna vedere che cosa vuole fare Mario Draghi”. Vabbè, diranno i miei otto lettori, quei due parlano per tenersi buono lo zoccolo duro di innamorati di Silvio ancora presente nel Paese. Almeno un 7 per cento di elettori (di Forza Italia) verosimilmente decisivi se alla prossime Politiche vedremo sfidarsi due schieramenti.
Giusto, ma fino a un certo punto. Perché già lo scorso giugno si registravano in Parlamento 259 cambi di casacca. E nella roulette per l’elezione del presidente della Repubblica ci vuole un niente per trovare 30 voti se davvero ne hai già in tasca 476 come sostiene Berlusconi (tutto il centrodestra, alcuni esponenti del misto, più i delegati di 15 Regioni). Votarlo, per i peones, avrebbe pure un significato preciso: Draghi resta a Palazzo Chigi, il governo va avanti e noi per almeno un altro anno ci intaschiamo 13mila euro al mese. Mica noccioline.
Per quelli che i giornali un tempo chiamavano poteri forti, Berlusconi avrebbe poi un altro vantaggio: è anziano e di salute cagionevole. Insomma è improbabile che finisca il settennato. O per cause naturali o perché potrebbe benissimo dimettersi dopo poco per curarsi. Spalancando così nel 2023 le porte del Quirinale al tanto evocato Draghi. Diabolico, no?
Chi fa questi calcoli, però, da un paio di giorni ha un problema in più: la perizia disposta dai giudici che stanno processando Berlusconi per la presunta corruzione dei testimoni nel caso Ruby. Se i periti diranno che è davvero malato sarà difficile per i supporter dell’ex Cavaliere sostenere che un uomo non in grado di presenziare a un processo possa efficacemente fare il capo dello Stato. Se invece i medici affermeranno il contrario, sarà dura per Salvini e Meloni spiegare ai loro elettori di aver deciso di eleggere un ballista. Anche se, aggiungiamo noi, da sempre quando si parla di Colle il parere dei cittadini non conta (do you remember Rodotà?). Tenetevi forte. Ne vedremo delle belle.