Verdi si diventa

“Amico della natura”, “bio”: nella giungla dei cosmetici non tutte le foglie sono vegetali

I consumatori si sentono rassicurati dalle parole o dai colori sulle confezioni. Però spesso l’elemento “naturale” è presente in piccolissime dosi “al punto da essere del tutto inefficace”. Ecco allora come potersi districare

14 Settembre 2021

La confezione è verde pastello, l’immagine, quasi sempre, una foglia, un albero, dei fiori, e poi la scritta: “naturale”, “vegetale”, “amico della natura” etc. Così noi consumatori ci sentiamo subito rassicurati, immaginiamo un cosmetico fatto di essenze naturali, senza chimica, pronto a biodegradarsi subito senza inquinare né fiumi né laghi. La realtà, però, non è esattamente così. Infatti, le definizioni come “naturale”, “ecologico”, “vegetale”, come spiegano bene Erica Congiu e Sauro Martella nel Biodizionario. Guida al consumo consapevole di cosmetici, detergenti, prodotti alimentari (Terra Nuova Edizioni) “non sono legislativamente regolamentate e lasciano ampio spazio di interpretazione”. Detto ancora più chiaramente “naturale non vuol dire niente dal punto di vista della garanzia dei consumatori, è un bel claim che fa tanta audience ma in fondo anche il petrolio si trova in natura ma nessuno se lo spalmerebbe in faccia”, precisa Sauro Martella, fondatore del “Biodizionario” e di “Veganok”. “Anche ecologico è una parola che non ha nessun riferimento legale, è semplicemente un punto di vista. E purtroppo non esiste neanche una normativa rispetto al biologico per quanto riguarda la cosmesi, a differenza dell’alimentare. Infatti è vietato definire un prodotto certificato biologico”.

Naturale, sì, ma in che percentuale?

I due autori cercano di fare chiarezza sulle diverse definizioni. Per “cosmetico naturale” si intende “un cosmetico che contenga sostanze funzionali di origine naturale, ad esempio estratti botanici, sali minerali, olio o burro vegetale”. Tuttavia in questi prodotti si possono trovare anche siliconi, petrolati e parabeni. Non solo. Spesso l’elemento “naturale” è presente in piccolissime dosi “al punto da essere del tutto inefficace”. Lo stesso dicasi per la parola “vegetale”, spesso associata, spiegano gli autori, a richiami visivi di frutti e foglie. “Nella stragrande maggioranza si tratta di prodotti con una minima percentuale di attivi di origine vegetali, immersi in un contesto puramente sintetico”, chiariscono i due autori.

E che dire di “ecologico”? In genere si riferisce alla postproduzione del prodotto, cioè la fase successiva al suo utilizzo, ma la produzione “potrebbe essere altamente impattante”. Possiamo invece fidarci di un cosmetico “eco-bio”? Da un lato, in quanto eco, si tratta di un prodotto senza derivati del petrolio e sostanze chimiche, a bassa tossicità e con packaging riciclabile. Invece l’aggettivo bio dovrebbe indicare che le sostanze siano naturali, provenienti da agricoltura biologica (senza pesticidi e diserbanti o ogm) e che non sono presenti sostanze a rischio, allergizzanti o irritanti. Tuttavia anche questa definizione non garantisce né la totale assenza di sostanze derivate da sintesi chimica (tuttavia non paraffine, siliconi, ogm, ingredienti etossilati), né l’assenza di sostanze di derivazione animale, come miele, propoli e collagene.

La babele delle certificazioni

La situazione, insomma, è confusa. Possiamo affidarci a qualche certificazione? Esiste in realtà, dal 2016, uno standard ISO 22716 universale, per rispondere alle esigenze delle aziende e dei consumatori. Ma nonostante rappresenti un passo avanti importante “verso la standardizzazione del concetto di cosmetico naturale e biologico, la norma è stata ampiamente criticata dagli stessi enti e dalle associazioni del settore. Infatti, “si permette l’utilizzo di Ogm e sostanze chimiche, si lasciano fuori questioni importanti come l’etichettatura, la sicurezza sulla salute umana e ambientale così come gli aspetti socio-economici”. Le altre due grandi certificazioni sono “Cosmos” e “NaTrue”. “Si tratta”, spiega sempre Martella, “di due standard importanti che stabiliscono dei paletti; anche se non sono certificazioni biologiche, hanno un impatto significativo in relazione alla qualità degli ingredienti utilizzati e al fatto che siano meno impattanti per l’ambiente”. E in Italia? Ci sono poi vari enti che rilasciano certificazioni per i cosmetici, come l’Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale, l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (che assegna il marchio Bio Eco Cosmesi), il Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici e Bioagricert. Ognuno ha i suoi marchi di riferimento e orientarsi non è facile, anche perché ogni certificazione garantisce aspetti diversi, dall’uso dell’energia rinnovabile dell’azienda al packaging agli ingredienti. “Per questo consiglio vivamente di utilizzare le due certificazioni ‘Biodizionario approved’, andando sul sito a verificare i prodotti, e ‘Veganok’: sono tra le più severe al mondo”, dice Martella.

Se il negozio non fa la qualità

Quanto contano i luoghi dell’acquisto? In altre parole, se vado in farmacia, in erboristeria oppure in un negozio bio sono sicuro di acquistare un cosmetico davvero naturale? In realtà, “anche andare in erboristeria o in negozi bio non garantisce nulla, ci sono erboristerie con persone qualificate che hanno competenza si trovano cose già selezionate, altre che si affidano al rappresentante di turno”. Una cosa utile è senz’altro è la lettura dell’Inci, l’elenco degli ingredienti: dovrebbero essere ingredienti naturali, sostanze provenienti da vegetali, animali o minerali, senza che sia stata apportata alcuna modifica chimica, e ottenute esclusivamente tramite i procedimenti fisici, non trasformati chimicamente; ingredienti d’origine naturale, cioè ingredienti naturali, ma trasformati secondo procedimenti chimici ammessi dal regolamento europeo, come la fermentazione, l’idratazione, l’idrogenazione (in questa categoria rientra, ad esempio, l’olio vegetale idrogenato); infine, per quanto riguarda gli ingredienti di sintesi: solo alcuni di questi ingredienti sono autorizzati nella produzione bio e comunque, in bassissima percentuale (devono essere tra gli ultimi ingredienti dell’Inci). È ammesso, per esempio, l’acido ascorbico. Non sono invece ammessi: paraffine e siliconi, profumi o coloranti di sintesi, componenti sottoposti a radiazioni, ogm, ingredienti provenienti da animali morti, ingredienti etossilati. Si torna comunque al problema: anche capire un Inci è complicato. Alla fine i consumatori devono metterci parecchio impegno, informarsi, “l’unica soluzione è la nostra consapevolezza”. Di sicuro, però, ci sono slogan da cui guardarsi. “Ad esempio ‘Non testato su animali’, visto che già i cosmetici per legge non sono testati su animali, oppure ‘clinicamente o dermatologicamente testato’: è ovvio che questi siano testati secondo quando già prescritto dalla legge ci mancherebbe; oppure, appunto, ‘naturale’, ‘amico dell’ambiente’: io quando vedo queste diciture non penso bene”, conclude Martella.

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