“L’esitante è l’homo novus di questo tempo paranoico”.
È solo un cacadubbi in attività permanente?
L’esitante è parte di un inedito corpo sociale, un magma che fa da combustibile fossile del pensiero di questo tempo, di questa immersione totalizzante nel virus. Wu Ming definisce giustamente questa condizione come l’età del “virocentrismo”. Il virus ha saturato il discorso pubblico, l’ha fagocitato al punto che stiamo allegramente perdendo di vista ogni altra realtà, sedotti come siamo dalle scatole tossiche del complottismo universale.
Gennaro Carillo è il filosofo della politica che indaga con puntiglio la morfologia degli esitanti, dei dubbiosi fino allo stremo, dei no vax fino alla morte.
Stiamo costruendo una grande piazza d’armi per la psicoanalisi. Il magma abitato da suprematisti, da razzisti, da gente intossicata dalle fake news ora gode immeritatamente delle riflessioni puntigliose di sinceri democratici, di libertari, di liberali.
Il virus è un mistero. Non sappiamo come sia nato, non abbiamo altre armi che il vaccino, per quanto imperfetto. Sarebbe troppo banale chiudere qui la questione?
È stato commesso un errore grave: eticizzare il vaccino. Chi lo fa è persona saggia chi non lo fa è scriteriata. Alcune frasi, “stanare i no vax”, hanno configurato un mondo abitato da predatori e da prede. Stanare è un verbo orribile. Anche Mattarella ci ha messo del suo.
Anche Mattarella?
Eccessivamente moralistico il monito. Il bene di qua, il male di là. Se si fosse detto che il vaccino non è buono in sé ma ha conseguenze benefiche per la nostra vita, è utile a noi, alla nostra stessa libertà. Utile, ecco. Nulla di più. Come il Green pass: un foglio che ci fa campare meglio e ci tutela di più. L’utilità marginale. Abbassando ogni altra pretesa etica.
Però gli esitanti non hanno alcuna voglia di affrontare l’esitazione e revocarla.
Qui c’è da distinguere tra una parte ideologizzata, dichiaratamente razzista e suprematista, per indole complottista, e quella povera gente che si abbevera ai social network. Sono i destinatari di comunicazioni tossiche, figli dell’algoritmo che ti fa bersaglio delle tue stesse paure. Se capisce che temi nell’acqua potabile la presenza di veleni, ti inonda di notizie in cui l’acqua e il veleno sono i protagonisti. La paura si alimenta e rialimenta in un processo paranoico, perché la disintermediazione ha questo effetto nocivo collaterale.
E così il virus emargina ogni altra questione. Ci fa dimenticare le altre urgenze, anzi smobilita il pensiero sul resto della nostra vita.
Avrei immaginato che ci saremmo dedicati ad approfondire il tema della sanità. Il crash di quella lombarda avrebbe dovuto farci correre ai ripari, parlare della medicina territoriale, capire già adesso quanti e quali sono gli investimenti per non replicare quell’inferno.
Invece vaccino sì e vaccino no. Green pass sì e Green pass no.
È il fraintendimento del concetto di libertà, la dimensione estrema per cui ciascuno attribuisce alla propria misure extra large del diritto. Come se non esistessero recinti di regole entro cui esercitare la nostra libera scelta, il nostro arbitrio. È il modo simile in cui si sono comportati i partecipanti alla grande adunata rave nel Lazio. Loro avevano voglia di suonare, magari ubriacarsi, magari drogarsi e avevano bisogno di un grande spazio. Hanno giudicato il loro diritto intangibile e le loro necessità incomprimibili.
Però tra gli esitanti c’è una fetta di intellettuali, di liberali sinceri, di menti allenate all’analisi critica.
Non discuto la loro reputazione, però domando il senso di questa enorme sofferenza pubblica. Possiamo fare altro senza il vaccino? Stiamo meglio sicuri senza Green pass? C’è una soluzione diversa? E questo imperturbabile, continuo dimenarsi intorno alla particella del diritto quali danni produce al confronto pubblico di una società nella quale la pandemia ha seppellito finora più di 120mila corpi e un milione e duecentomila posti di lavoro?
In effetti le critiche più severe al vaccino e suoi derivati provengono da fette della società (politici, giornalisti, intellettuali) che – almeno economicamente – meno hanno patito la pandemia.
Il ceto dei privilegiati, nulla di nuovo. Tipico di una società tardo capitalistica.