La campagna elettorale più noiosa di sempre. A Milano Giuseppe Sala, ricandidatosi, tardi e di malavoglia, per mancanza di alternative personali, è costretto a vincere per assenza di concorrenti. Il povero Luca Bernardo fa quello che può (cioè pochissimo, però fatto male), ma i milanesi non se ne accorgono. Sala resta il candidato unico. In una città contendibilissima (al primo mandato Beppe aveva vinto per una manciata di voti), questa volta il centrodestra ha preferito non giocare la partita e mandare in campo una squadra grigia, litigiosa, inconsistente. Sulla carta, Bernardo è il candidato sindaco più ricco d’Italia: 825 mila euro per la campagna elettorale.
In realtà i partiti che lo sostengono (si fa per dire) danno per persa la partita e i soldi non glieli vogliono dare, con conseguente nervosismo del pediatra-candidato che manda messaggi vocali in cui minaccia: “O mi date i soldi o me ne vado”. Non hanno neppure messo il suo nome sui simboli elettorali (a parte la declinante Forza Italia): i milanesi troveranno “Salvini” scritto sul simbolo della Lega e “Meloni” su quello di Fratelli d’Italia, che gioca per strappare i voti di destra al Carroccio. Abbandonato Bernardo al suo destino, la destra ha ridotto le comunali di Milano a un derby tra Salvini e Meloni (con Giorgia che è data all’11 per cento, a soli tre punti sotto il 14 di Matteo).
Quel gran pezzo del Bernardo è restato senza voce dopo la fuga del suo portavoce, ma un genio dadaista che gli scrive i testi evidentemente c’è ancora: “Chi vota Sala è un vero pistola”, ha vergato in una lettera a La Verità. È parlare di pistola in casa del pistolero, visto il porto d’armi del pediatra che ha ammesso di aver portato il revolver anche in ospedale, chissà perché e chissà da chi minacciato in passato.
Programmi? Boh. Si fatica a vederli, a destra e a sinistra. “Discontinuità!”, proclama Sala, per dire che cambierà gli assessori che gli sono venuti a noia, sostituendo i suoi amici (Roberto Tasca, Roberta Cocco, Roberta Guaineri) con amici nuovi. Sala il Re Sole di Varedo lancia il suo slogan: “Milano sempre più Milano!”. Quindi indica come nuovo assessore al Bilancio uno di Salerno. Niente contro Salerno (in quella città sono di casa), ma è curioso che a tenere i cordoni della borsa della più ricca città d’Italia sarà scelto un fan di Craxi, Emmanuel Conte, il cui intervento più memorabile in consiglio comunale è stato quello per chiedere di dedicare a Bettino una via (di Milano, non di Salerno).
Sì, Emmanuel, cresciuto a pane e politica, figlio di quel Carmelo Conte che ai bei tempi di Tangentopoli era uno dei “quattro viceré di Napoli”, insieme a Paolo Cirino Pomicino, Giulio Di Donato e Francesco De Lorenzo, con cui si spartiva il potere in Campania e a Roma. Già nel 2016 Carmelo è salito di persona a Milano per dare una mano al figlio in campagna elettorale (ne ha fatte tante, è un superesperto) e anche questa volta pare sia prodigo di consigli e sostegni.
Dentro questa piccola commedia elettorale di pistola e figli d’arte, è nascosta una vera tragedia: a due settimane dal voto, con ben 13 candidati sindaco, il 47 per cento dei milanesi è indeciso e forse non andrà a votare. Già nel 2016 gli elettori al ballottaggio furono soltanto il 51,8 per cento dei milanesi. Se questa volta si scendesse sotto il 50, sarebbe un colpo per la democrazia, una sconfitta per tutti. Ma che importa, tanto comunque a Milano gli affari vanno avanti, i valori immobiliari salgono, gli affitti crescono, l’aria s’avvelena, il consumo di suolo aumenta, gli scali ferroviari saranno cementificati, il Meazza sarà abbattuto, arriveranno perfino le Olimpiadi della neve nella città dove non nevica e forse sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno. E la narrazione canterà, soave: “Milano, place to be”.