Se giudichiamo la sentenza Lucano col senso comune, magari paragonandola alle pene molto inferiori inflitte a grandi corrotti come Formigoni, frodatori come B., bancarottieri come Verdini, complici della mafia come Dell’Utri, per non parlare della Trattativa, possiamo tranquillamente dire che 13 anni e 2 mesi (sia pure in primo grado) sono un’enormità. Se però leggiamo il dispositivo della sentenza del Tribunale di Locri, comprendiamo che quei 13 anni e 2 mesi sono il cumulo delle pene per i singoli reati – quasi tutti molto gravi – per cui è stato condannato l’ex sindaco di Riace. Sgombriamo subito il campo dalle falsità.
1) Lucano non è stato condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: per la violazione della legge Turco-Napolitano è stato assolto, come per aver fatto carte false per far entrare illegalmente clandestini in Italia o munirli di documenti farlocchi. La sua battaglia contro le leggi sull’immigrazione – ammesso e non concesso che sia ammissibile da parte di un sindaco – non c’entra nulla. E nemmeno il “modello Riace”, cioè il meritorio ripopolamento di un comune depresso con l’integrazione dei migranti.
2) Difficile immaginare che i tre giudici del Tribunale nutrissero intenti persecutorii, come già si era detto dei pm (ora quasi rimpianti perché hanno chiesto la metà della pena poi inflitta dal Tribunale). Al netto di quelli contestati ai suoi 26 coimputati, Lucano rispondeva di 16 capi di imputazione. È stato assolto per 5, condannato per 10 (in parte alleggeriti di diversi fatti, per cui è stato pure assolto) e prescritto per uno.
3) La condanna riguarda non gli aiuti ai migranti, ma una serie impressionante di pasticci finanziari con denaro pubblico. Il primo è l’associazione a delinquere per commettere “un numero indeterminato di delitti contro la Pa, la fede pubblica e il patrimonio” e “soddisfare gli indebiti e illeciti interessi patrimoniali delle associazioni e cooperative” create e controllate da Lucano e dai suoi amici come “enti gestori dei progetti Sprar, Cas e Msna” (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, Centri accoglienza straordinaria, Minori stranieri non accompagnati), con “indebite rendicontazioni delle presenze degli immigrati”, “derrate alimentari falsamente indicate come destinate agli immigrati ma sistematicamente utilizzate per fini privati”, “costi fittizi per spese carburante”, “numerose false fatturazioni”, nessun “controllo delle spese” né “documentazione dei costi sostenuti dalle associazioni”, “prelievi di denaro contante e assegni bancari dai conti correnti senza alcuna giustificazione”, “indebita destinazione di fondi ottenuti per fini diversi” dall’accoglienza.
L’altro – che forse spiega la discrepanza tra pena richiesta e pena inflitta – è la truffa aggravata allo Stato, cioè alla Prefettura e al Viminale (prima era “solo” abuso d’ufficio) per far versare 2,3 milioni indebiti o ingiustificati alle varie associazioni. Poi c’è un’altra truffa allo Stato da 281mila euro per una miriade di “costi fittizi o non giustificati”, “false fatture”, false annotazioni sui registri Inail di ore lavorate, “fittizi acquisti di bombole, materiale di cancelleria, mobili e schede carburante false”. Ne consegue l’accusa di falso ideologico in atto pubblico per ben 56 determine “propedeutiche al rimborso dei costi di gestione dei progetti Cas e Sprar” in cui Lucano “attestava falsamente di aver effettuato controlli sui rendiconti di spese” fantasiosi.
Un altro reato che porta alle stelle la pena è il peculato, per essersi “appropriato in modo sistematico” di “ingenti fondi ottenuti dallo Stato per l’accoglienza dei rifugiati”, “non meno di 2,4 milioni, distraendoli alle predette finalità” per l’“acquisto, arredo e ristrutturazione di tre case e un frantoio non rendicontati”, più “prelievi in contanti per 531.752 euro”, in parte usati “per il viaggio in Argentina di Lucano”, in parte per “i concerti estivi organizzati dal Comune di Riace”. Concerti che poi il sindaco “attestava falsamente” non essersi svolti “al fine di non pagare i diritti Siae”: altro falso.
L’ultimo reato grave è l’abuso per aver “affidato il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel comune di Riace alle cooperative sociali Ecoriace e l’Aquilone, prive dei necessari requisiti richiesti” dalla legge, “dell’iscrizione all’Albo regionale delle cooperative sociali” e “di autorizzazioni alla gestione ambientale”, senza l’ombra di una gara (la turbativa d’asta è prescritta). Infine Lucano rilasciò a Tesfahun Lemlem, sua compagna etiope, un certificato falso: “lo stato civile di nubile anziché di coniugata, a lui noto”.
Fin qui il giudizio penale di primo grado, che potrà essere rivisto in appello. Sul piano politico e morale, a parte qualche spesa privata con soldi pubblici, non si può dire che Lucano sia un corrotto o che agisse per interessi propri, anche se quel sistema di soldi allegri a pioggia drogava certamente i suoi consensi.
È possibile che agisse con le migliori intenzioni. Ma questo incommensurabile pasticcione era pur sempre un sindaco, cioè un pubblico ufficiale tenuto a rispettare e a far rispettare le regole. L’impressione è che la nobile missione del “modello Riace” gli abbia dato alla testa, convincendolo di essere al di sopra, anzi al di fuori della legge. Che si può sempre contestare e persino, per obiezione di coscienza, violare. Ma senza la fascia tricolore a tracolla. E affrontando poi le conseguenze delle proprie azioni.