Ken Loach è stato un protagonista (mancato) delle elezioni comunali a Milano. “Ho letto della tua campagna per rigenerare la città e devo dirti che sono pienamente d’accordo con te”: così il regista britannico aveva scritto a Gabriele Mariani, candidato sindaco della sinistra. “Pertanto sono lieto di sostenere Milano in Comune e il candidato Gabriele Mariani”. Il messaggio di posta elettronica è però andato a finire nella casella spam di una collaboratrice del candidato sindaco e così l’endorsement del regista non è diventato pubblico. Solo ora qualcuno lo ha trovato. Troppo tardi.
Non avrebbe probabilmente cambiato di molto il risultato elettorale raggiunto da Mariani, ma lo avrebbe almeno fatto conoscere di più in città, lo avrebbe fatto diventare “il sindaco per cui voterebbe Ken Loach”: “Se le decisioni vengono prese non per i migliori interessi dei cittadini, ma per far ottenere un rapido profitto alle aziende private, sappiamo che otterremo edifici brutti, alloggi scadenti, un non pianificato e insostenibile disastro”, aveva scritto Loach. “Rende poche persone molto ricche, ma lascia la maggioranza con alloggi poveri e infrastrutture carenti che non forniscono buoni servizi pubblici”. E ancora: “Dobbiamo fare in modo che tutti possano beneficiare di ciò che costruiamo. Se c’è un bisogno ma nessun grande profitto, allora il bisogno rimane senza risposta: non è questo il modo per ricostruire le nostre città”.
Nello spam sono finiti anche i voti di Mariani (sostenuto da Milano in Comune e Civica AmbientaLista) che ha raccolto soltanto l’1,5 per cento (7.566 voti) e dunque non entrerà in Consiglio comunale a continuare, come si era proposto, l’opera di Basilio Rizzo, per quattro decenni inflessibile controllore delle scelte dei sindaci di destra e di sinistra. Sconfitti i 5 Stelle. E sconfitta anche la sinistra che aveva deciso di stare dentro lo schieramento di Giuseppe Sala: la lista Milano Unita ha pagato la rinuncia a darsi una caratterizzazione politica più forte e autonoma e si è fermata all’1,5 per cento (7.012 voti).
La vittoria è tutta di Sala. Ha trionfato al primo turno con il 57,7 per cento raggiunto con 277.478 voti, contro i 224.213 (41,7 per cento) del 2016: dunque 53.265 voti in più. Un successo ottenuto anche grazie all’ottimo risultato del Pd, 33,8 per cento. Un Partito democratico che a Milano è guidato dai cuccioli allevati da Filippo Penati poi diventati supporter di Matteo Renzi, come Pierfrancesco Maran, assessore uscente all’urbanistica e recordman di preferenze (9.166). Sala non sarà però ostaggio del Pd (a cui peraltro non è mai stato iscritto) perché può vantare, oltre al suo successo, i buoni risultati di tre liste che lo hanno sostenuto: Beppe Sala Sindaco, la sua lista personale, ha raggiunto il 9 per cento; Europa Verde, a cui prima del voto aveva annunciato l’adesione (anche se non si è ancora iscritto davvero), è arrivata al 5 per cento; e un altro 4 per cento è aggiunto dai Riformisti, che raggruppano i renziani di Italia Viva e i sostenitori di Carlo Calenda.
Certo, quella di Sala è una vittoria per mancanza di avversario. Il candidato sbagliato del centrodestra, Luca Bernardo, non ha saputo richiamare i suoi al voto. Così l’affluenza alle urne è stata la più bassa di sempre a Milano: 47,7 per cento. Hanno votato soltanto 490 mila milanesi, sul milione di cittadini con diritto di voto. Tra chi è restato a casa c’è chi non ha trovato nessuno a rappresentare le proprie ragioni, la propria protesta, la propria rabbia.
E c’è chi invece vuole lasciar fare all’uomo solo al comando, che ora gestirà, senza alcuna opposizione civica e di sinistra, i tanti soldi del Pnrr che arriveranno a Milano e i tanti progetti urbanistici degli immobiliaristi, veri padroni della città e manovratori, per dirla alla Ken Loach, di “decisioni prese non per gli interessi dei cittadini, ma per far ottenere un rapido profitto alle aziende private”.