A 14 giorni dall’approvazione al Senato, l’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia sta rimettendo le mani sulla riforma Cartabia. In particolare sulla norma che ha introdotto l’arresto obbligatorio per i reati di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Si tratta di una norma – recepita con l’emendamento a prima firma di Lucia Annibali (Italia Viva) – pensata in difesa delle donne perché riguarda tutti gli uomini che violano quegli obblighi imposti dal giudice di avvicinarsi alle proprie vittime. Peccato però che questa norma nei fatti contrasti con un articolo del codice di procedura penale. Di conseguenza ci potremmo trovare di fronte a una situazione paradossale: persone arrestate, che i pm saranno costretti a far tornare il libertà.
Per capire la questione bisogna partire dalla novità introdotta nella riforma. Questa prevede di intervenire sull’articolo che disciplina l’arresto obbligatorio in flagranza di reato. Che sarà previsto anche per l’articolo 387 bis del codice penale, che riguarda appunto chi viola il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare o di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. E sono le cronache quotidiane a raccontare come questo fenomeno, sempre più frequente, sfoci in terribili femminicidi.
Il reato previsto dall’articolo 387 bis è punito con una pena da sei mesi a tre anni. E qui si crea il disallineamento con le regole generali. Il codice di procedura penale infatti all’articolo 280 (condizioni di applicabilità delle misure coercitive) prevede l’applicazione delle misure coercitive per i reati puniti con una pena “superiore nel massimo a tre anni” di reclusione. L’articolo 387 bis del codice penale non è tra questi. Così bisogna mettere una pezza. L’antitesi tra le due norme è stata segnalata in maniera informale al ministero della Giustizia dalla Commissione d’inchiesta sul femminicidio, presieduta da Valeria Valente (Pd). Ora i tecnici degli uffici legislativi di via Arenula nell’ambito di una serie di altre misure di intervento contro la violenza di genere stanno valutando anche le modifiche per superare questa contrapposizione che potrebbe venire a crearsi. Ragionano dal ministero, una soluzione potrebbe trovarsi già nell’articolo 280 del codice di procedura penale, al comma 3: prevede che le disposizioni sulle misure coercitive non si applicano “nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare”. E quindi tra questi potrebbe rientrare, ad esempio, anche il divieto di avvicinamento.
Ma si pensa anche ad altre soluzioni: intervenire proprio sull’articolo 280 del codice di procedura o sulla norma prevista dalla riforma magari rendendo l’arresto facoltativo (ma non è questa la strada che si intende intraprendere). La discussione è in corso. Questa riforma può stupire ancora.