Arresti sommari, esili forzati, Ong ostacolate nel loro lavoro, media imbavagliati: ora che in Nicaragua le elezioni presidenziali sono alle porte (il 7 novembre), il presidente uscente Daniel Ortega è pronto a tutto pur di conservare il potere. La repressione delle opposizioni si fa sempre più dura: “Stiamo arrivando al punto di svolta verso il regime dittatoriale”, osserva Jimena Reyes, direttrice per le “Americhe” della Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh). In questo piccolo paese dell’America Latina, tra Honduras e Costa Rica, Daniel Ortega, 75 anni, si candida per il quarto mandato consecutivo. Al suo fianco, la moglie Rosario Murillo, 70 anni, vicepresidente dal 2016.
La candidatura dell’ex guerrillero sandinista, che ha combattuto la dittatura di Somoza, è stata approvata all’unanimità dal partito al potere, il Fronte sandinista di Liberazione nazionale (Fsln). “È l’ottava volta che Ortega si presenta alle presidenziali per l’Fsln –, sottolinea Bernard Duterme, sociologo specialista dell’America Latina e direttore del Cetri, il Centro tricontinentale per lo studio, la pubblicazione e la formazione sui rapporti Nord-Sud, che ha sede in Belgio –. Ortega è aggrappato al potere e, come nelle ultime elezioni, anche questa volta è pronto a usare ogni mezzo possibile, legale o illegale, per restarvi”. Per mantenere le redini del paese, la coppia Ortega-Murillo è pronta a tutto. Dallo scorso maggio gli arresti si sono moltiplicati, portando a trentadue il numero di oppositori attualmente dietro le sbarre, tra cui sette potenziali candidati alla presidenza. Cristiana Chamorro è stata il loro primo bersaglio. Appena alcune ore dopo l’annuncio della sua candidatura, nella notte di martedì primo giugno, Ortega ha bloccato la candidatura dell’influente giornalista, alla quale i sondaggi attribuivano circa il 20% dei voti alle urne, sollecitando la sua inabilitazione dagli incarichi pubblici.
La figlia dell’ex presidente Violeta Barrios de Chamorro, che aveva battuto Daniel Ortega nel 1990, e di Pedro Joaquín Chamorro Cardenal, eroe della lotta contro la dittatura di Somoza, è accusata di diversi delitti, tra cui riciclaggio di denaro, ed è stata posta agli arresti domiciliari. La decisione è stata resa nota attraverso una semplice dichiarazione del pubblico ministero, che ha chiesto che Cristiana Chamorro “non goda più dei pieni diritti civili e politici perché coinvolta in diverse procedure penali”. Anche uno dei suoi fratelli, Pedro Joaquín Chamorro Barrios, è stato arrestato a giugno, mentre l’altro fratello, Carlos Fernando Chamorro Barrios, direttore del sito di informazione El Confidencial e del programma televisivo Esta Semana, è stato costretto all’esilio. Per giustificare gli arresti, il governo di Daniel Ortega ha avanzato delle presunte violazioni di un testo adottato nel dicembre 2020, la “legge per la difesa dei diritti del popolo all’indipendenza, alla sovranità e all’autodeterminazione per la pace”, che vieta a chiunque venga considerato dal regime “traditore della patria” di candidarsi alle elezioni. Sono considerati traditori tutti coloro che “chiedono, sostengono e si dicono favorevoli all’imposizione di sanzioni contro lo Stato del Nicaragua”. Il testo include anche chiunque “guidi o finanzi un colpo di stato, (…) inciti all’ingerenza straniera negli affari interni e chieda interventi militari” o che “proponga e organizzi blocchi economici”. “È una legge molto ampia, molto vaga, la cui libera interpretazione permette al regime di accusare di tradimento praticamente chiunque e quindi di estromettere gli oppositori”, osserva Jimena Reyes della Fidh, che denuncia anche le condizioni di detenzione “molto dure e disumane”. “I detenuti sono sottoposti a torture fisiche e psicologiche. Viene per esempio lasciata accesa la luce di giorno e di notte, in modo tale che i detenuti perdano la cognizione del tempo”. Il governo ha messo su una vera strategia contro gli oppositori: prima li fa arrestare e poi chiede il prolungamento della loro detenzione per prendersi il tempo di “indagare”.
Una riforma del codice di procedura penale lo scorso gennaio ha permesso di allungare da 48 ore a 90 giorni il periodo durante il quale i cittadini possono essere mantenuti in detenzione pur senza essere incolpati. Un rapporto intitolato “Nicaragua, una crisi dei diritti umani irrisolta”, pubblicato nel luglio 2021 dall’Istituto Race and Equality, ha analizzato gli arresti dal 2018 a oggi, sottolineando la loro arbitrarietà e la mancanza di indipendenza della giustizia nel Paese. “Durante i processi dei prigionieri politici sono stati violati tutti i criteri di equità delle procedure e sono state calpestate le garanzie giudiziarie e i diritti umani fondamentali.
Le violazioni sono diverse: processi non pubblici, avvocati della difesa perseguitati, uso di falsi testimoni e false vittime da parte dei pubblici ministeri, ricorso eccessivo e diffuso alla custodia cautelare”, si legge nel rapporto. Il regime di Daniel Ortega non si limita agli arresti sommari. “Il governo fa in modo di ridurre al silenzio ogni forma di opposizione. Ha per esempio dichiarato illegale l’unico partito politico credibile che si sarebbe potuto presentare contro di lui”, spiega Bernard Duterme del Cetri. All’inizio di agosto, il Consiglio supremo elettorale (Cse) ha escluso dalle elezioni l’Alleanza cittadini per la Libertà (Cxl), la principale forza di opposizione di destra, sostenendo che il partito non ha seguito le “regole tecniche legali” previste per le organizzazioni politiche. Il Cse ha accolto una denuncia che il Partito liberale costituzionale (Pll) ha sporto contro il Cxl: il Pl chiedeva di annullare la partecipazione del Cxl perché la sua presidente, Carmella Rogers Amburn, ha la doppia nazionalità, americana e nicaraguense. Una “ben nota violazione della legge” che ha permesso l’esclusione del partito. “Praticamente il regime ha usato un presunto partito di opposizione per eliminare un altro partito di opposizione”, spiega il direttore di Cetri. Con l’allontanamento del Cxl e sette potenziali candidati alle presidenziali in prigione, Daniel Ortega non avrà nessun vero avversario con cui confrontarsi allo scrutino, la cui credibilità è dunque messa in discussione.
“I nicaraguensi sanno che queste elezioni sono una farsa, ma non possono protestare, il costo di una rivolta sarebbe enorme”, osserva Gilles Bataillon, ricercatore all’EHESS, la Scuola di alti studi in scienze sociali con sede a Parigi. Durante le rivolte del 2018, più di trecento persone sono state assassinate: “E oggi – aggiunge Bataillon – il regime continua a terrorizzare la popolazione, anche nelle zone rurali. Ortega ha paura di una rivolta perché delle armi, mai consegnate, continuano a circolare. Per far paura alla gente, in queste zone, si filmano dei massacri e i video vengono postati sui social network”. “Le milizie armate schierate nel 2018 – aggiunge Jimena Reyes della Fidh – continuano a sorvegliare la popolazione. Per umiliare e intimidire gli oppositori, marcano con la vernice le loro case”. Malgrado le reazioni della comunità internazionale, molto rare, contro la politica portata avanti da Daniel Ortega, il presidente-candidato rifiuta di fare marcia indietro. “Il suo piano è di rifondare un regime totalitario, basato non sul potere di un solo uomo, ma di una famiglia, con sua moglie come vicepresidente, e probabilmente facendo di uno dei suoi figli il suo successore”, analizza ancora Gilles Bataillon. Dopo le critiche di diversi paesi e dell’Onu, l’ex guerrillero ha richiamato in Nicaragua i suoi ambasciatori in Messico, Colombia, Costa Rica e Argentina. Ha quindi definito “terroristi” tutti gli oppositori che si trovano in carcere per presunto tradimento contro il Paese, e ha chiamato “satanisti” o “demoni in tonaca” tutti i vescovi e i preti nicaraguensi che hanno espresso delle critiche nei confronti del governo. Secondo il presidente “giustizia è stata fatta contro i terroristi”.