A sei mesi dalle elezioni presidenziali, l’ex premier di Emmanuel Macron, Édouard Philippe, che ha assicurato la sua lealtà al presidente allo scrutinio di aprile, ha lanciato un nuovo movimento politico, “Horizons”: “Si tratta di un partito, non di un club”, ha subito ammonito Philippe sulle pagine del Journal du Dimanche, il 10 ottobre scorso. “Un partito deve pensare, formare, lavorare. E quando sarà il momento – ha aggiunto –, presentare dei candidati alle elezioni”. L’ex premier si è unito alla coorte di leader politici che, in Francia, stanno preparando “le jour d’après” (“il giorno dopo”). L’espressione viene da un ministro vicino a Macron, che osserva da qualche tempo una certa agitazione all’interno della maggioranza e dei suoi alleati, alla ricerca di nuovi equilibri politici, mentre il capo dello Stato non ha ancora ufficializzato la sua candidatura.
Queste manovre, nella prospettiva delle legislative del 2022, riguardano La République en marche, i centristi del MoDem e il piccolo movimento social-riformista Agir et Territoire de Progrès (TdP). Ma la stessa agitazione si constata anche all’interno della destra conservatrice Les Républicains (LR). Naturalmente, tutti ripetono che la rielezione del presidente “non è affatto assodata”, come ha detto lo stesso Philippe. Ma la maggior parte dei macronisti di fatto non perde di vista i sondaggi, che assicurano a Macron l’accesso al ballottaggio del 24 aprile. In molti pensano anche che la “zemmourizzazione” del dibattito politico, che ruota cioè tutto intorno a Eric Zemmour, volto dell’estrema destra anti-immigrazione e anti-Islam, possa giocare a favore di un “voto utile” al primo turno. Tutti insomma scommettono sulla rielezione del presidente. In questo contesto, “Il minimo comun denominatore di tutte queste forze politiche, è la rielezione di Emmanuel Macron – conferma un consigliere dell’esecutivo –. Per il resto, fanno tutti a gara a chi avrà il gruppo più influente nel 2022. È la loro ossessione”. Alcuni macronisti sono infastiditi dalle ambizioni presidenziali di Philippe, altri ironizzano sulle “manovre di François Bayrou per far sì che il MoDem resti un alleato indispensabile”. Altri ancora si fanno beffa della presunta “ala sinistra” della maggioranza, il TdP, oggi presieduto dall’ex socialista Olivier Dussopt. Tutte queste manovre confermano soprattutto la fragilità del partito LaREM, creato nel 2016 per fare una OPA sulle elezioni, ma che da allora non è mai riuscito a strutturarsi. In tanti, anche nell’entourage di Macron, criticano la formazione politica e la “battaglia” già in corso tra i ministri per pesare nella campagna e dopo le elezioni. Jean-Michel Blanquer, Clément Beaune, Marlène Schiappa, Élisabeth Borne… “Il comitato strategico conta già 85 persone – scherza un consigliere dell’esecutivo –, ma il presidente vuole che pochissimi ministri partecipino attivamente alla campagna”. “Alcuni di loro cercano una circoscrizione elettorale, altri puntano direttamente al posto di primo ministro”, aggiunge un altro consigliere. Dietro le ambizioni degli uni e degli altri, emerge una questione politica più interessante: “Se il presidente venisse rieletto, sarà quasi impossibile costituire una maggioranza a giugno. Il paesaggio politico è troppo frammentato, sia a livello nazionale che locale. Dobbiamo quindi pensare sin d’ora a una coalizione”. Ma è solo dopo il ballottaggio che verrà ridefinito il baricentro del macronismo, crede di sapere chi, all’interno della maggioranza, pensa ancora che questo non sia definitivamente ancorato a destra.
Per i nuovi macronisti, invece, non ci sono dubbi: “Vi è uno spostamento della Francia a destra. Abbiamo uno spazio da occupare e intendiamo essere una componente di peso in questa maggioranza”, ha osservato di recente Christian Estrosi, ex sindaco LR di Nizza, ormai sostegno ufficiale di Macron. Questo movimento a destra è accompagnato anche dalla volontà di dare una maggiore dimensione locale al macronismo. “Macron non ha radici territoriali – osserva un sindaco LR –. Ha bisogno di responsabili politici locali, ma dal momento che l’etichetta LaREM ha perso valore, serve qualcuno in grado di riunirli intorno a sé”. Édouard Philippe intende essere questa persona. Il 9 ottobre, i sindaci di diverse città hanno del resto fatto il viaggio a Le Havre in occasione del lancio del nuovo movimento “Horizons”. Anche il ministro dei territori d’Oltremare, Sébastien Lecornu, ha già ricevuto diversi responsabili locali, finora sostenuti da LR, per sondare le loro intenzioni alle legislative. “Per noi le elezioni del 2022 sono come uno scrutinio a quattro turni, i due delle presidenziali e i due delle legislative”, dice uno di loro. In questo contesto, riemerge un vecchio problema della destra: il divieto di cumulo dei mandati. Un principio instaurato sotto François Hollande e di nuovo discusso il 12 ottobre scorso in Senato, nell’ambito di una proposta di legge portata avanti dal senatore centrista Hervé Marseille. Anche alcune figure della maggioranza cominciano a aderirvi, come il presidente dell’Assemblea, Richard Ferrand, pronto a aprire un dibattito sul tema durante la campagna. Édouard Philippe ha già annunciato che non si sarebbe candidato alle legislative per restare sindaco di Le Havre. Qui comincia la spinosa battaglia delle investiture, anche se chi è vicino al capo dello Stato continua a ripetere che la distribuzione dei posti si farà solo a elezioni passate. Nel gruppo LaREM all’Assemblea, riassume uno dei deputati, “si sta cominciando a dare di matto”, divertendosi nel vedere i suoi colleghi “agitarsi” già da settembre. “Il presidente crede nella sua buona stella – osserva un ministro – e pensa che, se sarà rieletto, le cose si sistemeranno”. Da parte sua, il deputato LaREM Roland Lescure, che è anche portavoce del partito, insistendo sul fatto che non vuole “dare l’impressione di scavalcare le elezioni presidenziali“, ritiene a sua volta che “l’eventuale rielezione di Macron susciterà più bramosia che compassione”, anche se le legislative rischiano di non sollevare “probabilmente lo stesso entusiasmo del 2017”. Per quanto riguarda Les Républicains, l’imbarazzo è altrettanto grande. Tra i leader del partito della rue de Vaugirard, consapevoli dell’importanza strategica e finanziaria delle elezioni legislative, è un continuo cogitare sulla strategia da adottare per lo scrutinio di giugno.
Alla testa del gruppo parlamentare LR dal 2010 al 2019, prima di assumere la presidenza del partito, Christian Jacob ha visto crollare il numero dei suoi membri un mandato dopo l’altro (308 sotto Sarkozy, 199 sotto Hollande, 103 sotto Macron). Un’erosione che fa pensare che le future elezioni “saranno una carneficina” per il partito, secondo le parole di un presidente di federazione LR. In un istinto di sopravvivenza, il partito della destra conservatrice all’opposizione preferirebbe quindi stringere un’alleanza con la destra al potere. Lo stesso Nicolas Sarkozy, secondo diversi responsabili che hanno potuto parlare di recente con l’ex presidente, avrebbe consigliato ai suoi di “sostenere senza eccessi” Macron per i prossimi cinque anni. Ciò permetterebbe a LR di ottenere un centinaio di circoscrizioni elettorali in cambio di concessioni politiche in un futuro esecutivo. Tutte queste manovre strategiche, in vista delle elezioni legislative, rivelano la fragilità politica della destra e deviano i discorsi dall’essenziale. “Preferirei che si lavorasse un po’ più sul programma, piuttosto che concentrarsi sulle alleanze strategiche”, osserva un deputato LaREM che, a sei mesi dalle elezioni presidenziali, non conosce ancora il progetto su cui si baserà la campagna. E se è pronto a schierarsi dietro a Macron, dipenderà dall’orientamento della sua campagna: “Bisognerà chiarire diversi punti – spiega –. Se si tratta di continuare a seguire la linea della sicurezza dettata dal ministro dell’Interno Darmanin, sulla scia del metodo Sarkozy, allora non intendo impegnarmi di nuovo nella campagna”.
(Traduzione di Luana De Micco)