Storia di ordinario Consiglio dei ministri svelata dal Corriere. I capidelegazione dei due partiti più votati, Patuanelli (M5S) e Orlando (Pd), esprimono un sommesso disagio a Draghi per un fatto “mai successo”: devono approvare il Documento programmatico di bilancio “senza che ci sia stato nemmeno distribuito il testo”. A scatola chiusa, come si usa da quando fu posta fine al “vulnus democratico” di Conte e tornò la democrazia con Draghi. Poi Franceschini chiede di rifinanziare il bonus per le facciate. Il premier lo gela: “Le risorse sono finite, se no il sistema salta”. Franceschini fa notare che il Consiglio dei ministri si chiama così perché è un organo collegiale che prima discute e poi decide: “Le riunioni di governo servono proprio a costruire un compromesso”. Ma Draghi, abituato a Bankitalia e alla Bce, dove lui decideva e gli altri obbedivano, stronca sul nascere la rivolta di Spartacus “visibilmente infastidito”, con un perentorio “Eppoi basta”. Il Corriere, per nulla scandalizzato dalla trasformazione del Consiglio dei ministri in Gran Consiglio del Draghismo, censura il pigolio di Franceschini come pericolosa “curvatura politica”: come si permette un politico, per giunta ministro, di fare politica?
Se i commessi di Palazzo Chigi cercano negli archivi, potranno affiggere sul portone uno di quei bei cartelli che campeggiavano negli uffici pubblici quando c’era Lui: “Qui non si fa politica: si lavora”. Nel 1929 l’Unione Fascista degli Industriali pubblicò un libretto di istruzioni: “Qui non si fanno previsioni né discussioni di alta politica o di alta strategia. Si lavora”. È quel che dice anche il presidente democratico degli industriali Carlo Bonomi al Corriere: “I partiti non capiscono, stanno assediando il premier. Ognuno dà battaglia per la sua bandierina: un partito per le pensioni, un altro per il reddito di cittadinanza, un terzo per qualcos’altro”. Orrore: i partiti fanno politica, ovvero ciò per cui sono stati votati. Dove andremo a finire. Già che ci siamo, insieme a Forza Nuova, perché non sciogliamo pure gli altri partiti? Per fortuna la stampa libera disperde subito con gli idranti i frenatori dell’aratro che traccia il solco e della spada che lo difende. Repubblica: “Draghi tira dritto”. Riformista: “La svolta di Draghi: prima decidere, poi tirare dritto”. Il copyright è del Duce, che l’8 settembre 1935, dal balcone di Palazzo Venezia, replicò “Noi tireremo diritto!” alla Lega delle Nazioni che sanzionava l’Italia per la guerra d’Etiopia. Ne nacque anche una canzoncina: “Noi tireremo diritto, se pur la Lega ci taglieggia il vitto. Questa è l’Italia: un popolo poeta: crede e combatte, fisso alla sua meta, ed obbedisce, se obbedir non è viltà”. Ma che andate a pensare: quella era una dittatura.