Così come il tabacco “nuoce gravemente alla salute”, anche gas, petrolio e carbone hanno effetti dannosi: il loro utilizzo altera il clima del Pianeta, contribuendo al riscaldamento globale, e alimenta l’inquinamento atmosferico, responsabile ogni anno di milioni di morti premature. Perché allora l’Unione europea non vieta alle aziende dei combustibili fossili di promuovere il loro business inquinante attraverso le pubblicità e le sponsorizzazioni, come ha fatto per l’industria del tabacco? È questa la domanda che ha spinto Greenpeace, insieme a un’altra ventina di organizzazioni, a lanciare una Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) per chiedere di vietare ogni forma di pubblicità e di sponsorship da parte delle multinazionali dei combustibili fossili. L’ICE è uno strumento molto efficace che permette ai cittadini europei di avviare un vero e proprio processo legislativo raccogliendo almeno un milione di firme in Europa, poiché costringe la Commissione europea ad esprimersi pubblicamente sulla proposta di legge dei firmatari.
Vietare le campagne pubblicitarie e le sponsorizzazioni di colossi energetici come Eni e Shell, ma anche dell’industria dell’automotive e delle compagnie aeree – tra i principali responsabili della crisi climatica e ambientale – sarebbe un importantissimo passo avanti per diminuire il loro potere d’influenza e impedire a queste aziende inquinanti di nascondere le loro responsabilità dietro una falsa immagine green, mentre in realtà continuano a promuovere modelli di business dannosi per il clima e la sicurezza delle persone. Il recente rapporto “Tante parole e pochi fatti” realizzato dal gruppo di ricerca DeSmog e commissionato da Greenpeace Paesi Bassi, ha analizzato oltre tremila annunci pubblicitari online delle sei principali aziende europee dei combustibili fossili (Eni, Shell, Total Energies, Preem, Repsol e Fortum), rivelando come questi non riflettano la realtà delle attività commerciali delle aziende. Tutte le aziende analizzate dallo studio hanno fatto ricorso al greenwashing, sia attraverso un’enfasi eccessiva sulle loro iniziative ”verdi”, sia sminuendo le attività legate ai combustibili fossili. In media il 50 per cento degli annunci pubblicitari esaminati riguarda iniziative per la sostenibilità ambientale ma solo il 18 per cento del portfolio delle sei multinazionali è costituito da attività realmente rispettose del clima.
Inoltre, il 63 per cento degli annunci analizzati – quasi due terzi – promuove false soluzioni per il clima (come la cattura e lo stoccaggio della CO₂ nel sottosuolo) o riguarda iniziative realmente green, ma che si riferiscono ad attività marginali per le aziende. La performance di Eni è in linea con questo trend: a fronte dell’80 per cento circa del suo portfolio legato ai combustibili fossili, solo l’8 per cento delle pubblicità analizzate racconta quanto l’azienda continui a puntare sul gas fossile e sul petrolio, mentre il 55 per cento degli annunci del Cane a sei zampe è classificato dallo studio come greenwashing. La propaganda delle aziende fossili deve essere fermata: le promesse non ci salveranno dalla crisi climatica in atto, dobbiamo abbandonare i combustibili fossili e smascherare l’inganno dietro le pubblicità fossili per tutelare la salute del pianeta e delle persone. La petizione Stop alla pubblicità delle aziende inquinanti si può firmare qui.