Era il 26 giugno 2009 quando il comitato esecutivo Unesco riunito a Siviglia dichiarava le Dolomiti patrimonio dell’umanità. Fin dal 1993 Mountain Wilderness, insieme a Legambiente e SOS Dolomites, aveva lanciato questa proposta che tra alterne vicende è andata a buon fine dopo ben sedici anni, anche se non completamente: infatti la proposta iniziale prevedeva un’area ben più estesa – basti pensare che sono stati esclusi gruppi come il Sella e il Sassolungo, per la mancanza di preesistenti obblighi di protezione – e soprattutto il riconoscimento del patrimonio misto, naturale ma anche culturale.
L’Unesco, con una convenzione stipulata nel 1972 gli Stati aderenti si sono impegnati a identificare, proteggere, conservare, valorizzare e trasmettere alle generazioni future il patrimonio culturale e naturale considerato di eccezionale valore universale ed iscritto in un’apposita lista.
La convenzione prevede due principali distinzioni tra patrimonio culturale e patrimonio naturale, oltre a considerare la possibilità di un patrimonio misto; il patrimonio culturale è costituito da monumenti e siti opera dell’uomo di elevata importanza storica, artistica o scientifica, mentre il patrimonio naturale comprende monumenti e siti naturali di interesse conservativo, scientifico o estetico. Dal 1992 è stato introdotto il concetto di “paesaggio culturale”, creazioni congiunte dell’uomo e della natura; in questo ambito ad esempio sono state recentemente iscritte le colline del Prosecco. Infine è del 2003 la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, rappresentativo della diversità e della creatività umana. Altra cosa ancora sono le Riserve della Biosfera (incluse nel programma Mab) e i Geoparchi, dei quali magari parleremo in un’altra occasione.
L’Unesco stabilisce che la protezione dei siti riconosciuti è della massima importanza per l’intera comunità internazionale, in quanto la loro fruizione va garantita per le generazioni presenti e future preservandone l’autenticità e l’integrità; è importante puntualizzare che il riconoscimento non introduce nuovi vincoli rispetto a quelli già esistenti ma rappresenta uno strumento di promozione internazionale della cultura e della natura del nostro Paese che le amministrazioni interessate possono utilizzare coerentemente con i dettati della Convenzione, sempre nell’interesse generale. L’Italia, primo contributore finanziario dell’Unesco, si attribuisce un ruolo di potenza culturale che la stessa comunità internazionale le riconosce guardando al nostro paese come modello, dall’alto dei suoi 58 siti – 53 culturali e 5 naturali – iscritti nella World Heritage List (il primo, i graffiti rupestri della Valcamonica, risale al 1979), ma questo comporta l’assunzione di precise responsabilità nella tutela e salvaguardia del patrimonio culturale e naturale.
La nostra associazione ha creduto fortemente nello strumento Unesco per la salvaguardia delle Dolomiti, tanto da partecipare al Collegio dei Sostenitori della Fondazione Dolomiti Unesco, appositamente creata per coordinare il governo di un territorio assai frazionato: il bene seriale comprende nove gruppi dolomitici che compongono questo straordinario arcipelago fossile, interessando i territori di cinque Province (Belluno, Bolzano, Pordenone, Trento, Udine) delle quali due autonome e tre Regioni fra le quali due a statuto speciale caratterizzate da un quadro istituzionale e amministrativo composito, un’area di circa 142mila ettari nella quale si parlano quattro lingue differenti e ufficialmente riconosciute (italiano, tedesco, ladino e friulano). All’interno della Fondazione abbiamo collaborato per affrontare e trovare possibili soluzioni a problematiche importanti legate all’aumento dei flussi turistici come il traffico, la ricettività alberghiera, le aree sciabili già presenti sul territorio.
A dieci anni di distanza dalla dichiarazione delle Dolomiti patrimonio dell’umanità, stanchi di vedere una Fondazione impotente nel perseguire la strategia complessiva di gestione approvata a Siviglia, scoraggiati nel vedere amministrazioni che in Fondazione assumevano impegni poi regolarmente disattesi sul proprio territorio, delusi dai tanti esempi di utilizzo del marchio Dolomiti Unesco ai fini di marketing piuttosto che di tutela, prendendo atto della situazione reale abbiamo realizzato un dossier contenente una lunga serie di fatti per dimostrare la fragilità della situazione e il rischio di annullare l’originale scopo di tutela del territorio e del paesaggio. Presentato il documento nel dicembre 2019, l’imbarazzante silenzio della Fondazione Dolomiti ci ha poi spinto ad uscire dal Collegio dei Sostenitori nella primavera successiva; nell’autunno 2020 abbiamo infine presentato il dossier alla sede Unesco di Parigi in videoconferenza.
Nell’aprile di quest’anno, nell’ambito delle audizioni sui giochi olimpici invernali Milano-Cortina 2026 presso la Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, l’intervento del segretario generale della Commissione nazionale italiana per l’Unesco Enrico Vicenti ha opportunamente richiamato i contenuti del nostro dossier per ricordare che la tenuta dei giochi olimpici è possibile senza la costruzione di nuovi impianti in quanto le sedi sono già ben definite, il territorio è fortemente antropizzato con una grande pressione turistica che potrebbe in futuro ledere l’eccezionale valore universale del bene; la grossa sfida è quella di diversificare l’offerta turistica evitando l’eccessivo consumo di suolo.
Sulla scia di questa esperienza negativa sono state momentaneamente abbandonate da Mountain Wilderness altre campagne per il riconoscimento di aree montane importanti come il Monte Bianco e i monti d’Abruzzo, che pure avevamo individuato come obiettivo negli anni passati: dobbiamo prendere atto che purtroppo, anche alla luce di quanto osservato recentemente con i progetti regionali legati al Pnrr, le amministrazioni pubbliche non sono ancora pronte ad utilizzare lo strumento Unesco per la tutela dei territori ed anzi rischiano di causare maggiori danni grazie al forte richiamo turistico che questo riconoscimento può comportare. La situazione di Venezia è sotto gli occhi di tutti, chiaro esempio di come un turismo soffocante e malgestito possa portare conseguenze negative al patrimonio culturale mondiale; lo spopolamento non è solo delle montagne ed è legato soprattutto alla mancanza dei servizi per i residenti con conseguente peggioramento della qualità di vita a fronte delle speculazioni economiche di pochi privilegiati.
Noi naturalmente auspichiamo che l’Italia non subisca la severa punizione dell’inserimento nella lista Unesco dei patrimoni in pericolo, con conseguente danno d’immagine per i territori interessati e per l’intero Paese; ma non possiamo tacere di fronte alla preoccupazione, fatta propria anche dall’Iucn nel caso delle Dolomiti, di una prospettiva al deterioramento che considera l’eccessiva presenza turistica e di infrastrutture correlate al turismo come una minaccia all’eccezionale valore universale.