Il nuovo libro di Bruno Vespa, in uscita giovedì, già dal titolo fa tremare i polsi: Perché Mussolini rovinò l’Italia (e perché Draghi la sta risanando). Per evidenti ragioni l’accostamento con il Duce non dovrebbe lusingare l’attuale premier, nonostante le migliori intenzioni dell’autore su cui naturalmente non ci permettiamo di sindacare.
Se qualcuno avesse dei dubbi sul parallelo tra i due politici, a fugarli ci pensa Giancarlo Giorgetti, interpellato da Vespa sul futuro del presidente del Consiglio. Non a Palazzo Chigi, bensì al Colle e mica come un capo di Stato qualsiasi: “Draghi potrebbe guidare il convoglio anche da fuori. Sarebbe un semipresidenzialismo de facto, in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole”. Come ha fatto a suo tempo Napolitano, replica Vespa. “Lui l’ha fatto dinanzi a un mondo politico spaesato”, precisa Giorgetti. “Draghi baderebbe all’economia”.
Et voilà: guidare, in latino “ducere”. Si è subito detto: ma è una battuta! Epperò: un ministro della Repubblica non può liquidare la forma di governo e la Costituzione su cui ha giurato (forse ha giurato sulla Carta di Pontida) con un “de facto”. Draghi (e chiunque altro) che dal Quirinale “guida il convoglio da fuori” e bada all’economia” sarebbe una soluzione eversiva (tecnicamente, non c’è alcun giudizio politico).
Da sempre le destre accarezzano il sogno di un sistema più decisionista, efficiente, “forte” con meno lacci e lacciuoli: a volte è il premierato, a volte il semipresidenzialismo. Quando gli italiani sono stati chiamati a pronunciarsi hanno detto “no” con estrema chiarezza (tipo nel 2006). Le riforme costituzionali non si scrivono sui libri di Vespa, i sistemi di governo non si cambiano “de facto” e tantomeno per una persona. Abbiamo già visto come va a finire.