I leader dei Verdi milanesi, poverini, si arrabattono sul progetto San Siro. Da una parte devono restare fedeli al sindaco-re Giuseppe Sala, che si proclama Verde (anche se non si è mai iscritto ai Verdi Europei) e ha loro gentilmente concesso l’assessorato all’Ambiente (così li ha “incastrati”, per costringerli a dire sì a tutte le sue decisioni). Dall’altra, soffrono a mostrarsi pubblicamente d’accordo con la scelta di Sala di abbattere il Meazza, costruire il nuovo stadio e – soprattutto – edificarci attorno grattacieli e uffici e hotel e centri commerciali e via cementificando.
“Su San Siro, Sala sbaglia”, dichiara il capogruppo Verde Carlo Monguzzi. “Non possiamo dare un quartiere in mano a fondi speculativi, si può ristrutturare il Meazza”. Poi chiede il confronto in Consiglio comunale e butta lì l’idea di un referendum. Ma se il referendum è: “Volete abbattere o conservare il Meazza”, allora è un imbroglio. Il cuore dell’operazione San Siro non è lo stadio, ma le volumetrie attorno. Con il sì – già garantito da Sala – Milan e Inter realizzano un’operazione non sportiva, ma immobiliare. Avranno uno stadio di proprietà e – soprattutto – un remunerativo distretto commerciale-terziario-alberghiero-ricreativo di oltre 100mila metri quadrati di superficie lorda, un affare da 1,2 miliardi di euro. Il Comune di Milano rinuncerà per sempre a un suo asset, il Meazza, che vale 250 milioni e rende almeno 5 milioni all’anno che entrano nelle casse della città. Così Sala impoverisce il patrimonio comunale, lascia abbattere (o ridurre a inutilizzabile moncherino) un suo impianto, regalando il business stadio ai privati, che costruiranno il loro nuovo prodigio non su terreni di loro proprietà, ma su terreni pubblici del Comune di Milano. È come se l’Ospedale Maggiore si lasciasse demolire per far posto a una moderna clinica privata, con contorno di uffici, hotel e centri commerciali.
Il Meazza è obsoleto? Nel 2016 è stato adeguato ai requisiti Uefa per ospitare la finale di Champions League e il 10 ottobre 2021 ha ospitato la finale di Nations League. Ora lo si potrebbe arricchire e riqualificare con metà dei soldi che servono per costruire uno stadio nuovo, come dimostra l’ottimo progetto degli ingegneri Nicola Magistretti e Riccardo Aceti. Resterebbe di proprietà pubblica, continuerebbe a generare utili al Comune, aumenterebbe il suo valore immobiliare, accrescendo il patrimonio pubblico comunale. Invece: Sala lo vuole demolire – con un cantiere che aumenterà a dismisura per anni le emissioni inquinanti – per regalare a Paolo Scaroni (Milan) e ad Alessandro Antonello (Inter) la possibilità di risanare i loro conti in rosso, mettendo in portafoglio un’operazione immobiliare che permetterà al fondo Elliott di vendere il Milan nei prossimi mesi (Scaroni lo ha già annunciato), facendoci un bel guadagno. Idem ai cinesi dell’Inter, che non vedono l’ora di liberarsi di un peso.
Ora Re Sala vuole far dichiarare alla sua giunta obbediente l’“interesse pubblico” dell’operazione San Siro. È evidente che qui c’è soltanto l’interesse privato, privatissimo, di due club che hanno convinto Sala che sta convincendo i Verdi. Referendum, allora? L’idea è piaciuta anche a Basilio Rizzo, Patrizia Bedori e Gabriele Mariani (ormai opposizione fuori da palazzo Marino) che chiedono di costituire un comitato unitario per il referendum su San Siro. Ma un referendum che non sia “Meazza sì/Meazza no”, bensì che decida il sì o il no a una operazione immobiliare privata e inquinante realizzata su terreni pubblici. Oddio, i precedenti non sono incoraggianti: ricordo un altro referendum a Milano in cui i cittadini avevano votato decidendo di realizzare un grande parco su tutta l’area Expo. Indovinate com’è andata a finire.