Può essere interessante confrontare la promessa sugli alberi fatta dal G20 (piantare mille miliardi di alberi) con quella di fermare la deforestazione entro il 2030 avanzata dalla Cop26, in cui volutamente non si è parlato invece di numeri. Secondo me è molto più importante, efficace e innovativa la seconda, quella della Cop26, appunto, che mi ha stupito. Non era in verità la prima volta che ci si impegnava per ridurre la deforestazione entro il 2030, era già successo nel 2014 con la Dichiarazione di New York che però era una dichiarazione. Oggi sono diversi il palco e la risonanza, i leader si giocano davvero la faccia su questo.
L’altra differenza rispetto al passato è che qui ci si è impegnati a mettere dei soldi, parliamo di 20 miliardi di dollari di cui 12 pubblici e 7-8 mobilizzati da fondi privati; si è fatto accenno a un ecosistema particolare quali sono foreste del bacino del Congo, per cui diversi stati hanno messo oltre un miliardo e mezzo. La cosa importante, che mi sembra concreta, è che non si tratta di una promessa vuota, ma si sono individuate azioni prioritarie. Lo scopo è rendere economicamente svantaggiosa la deforestazione e questa è la strada giusta; questi soldi, che si spera saranno dislocati come promesso, andranno per supportare le comunità indigene nella loro azione di tutela e conservazione. Al tempo stesso è stato chiesto che i flussi commerciali di prodotti vengano maggiormente tracciati e certificati per ridurre la deforestazione importata dai Paesi ricchi, compreso il nostro e che si mobiliti la finanza, in modo che possa investire sulla conservazione delle terre e per ripristinare aree già degradate o deforestate. Rispetto al 2014 insomma l’impegno è più forte, concreto, supportato da soldi e quindi potrebbe avere qualche probabilità di riuscire.
I dubbi? Ovviamente tutto questo non basta. Bisogna senz’altro modificare la domanda, quindi agire sugli stili di vita, ma anche modificare l’offerta all’origine, in altre parole sia interrompere l’importazione di certi prodotti, sia pagare i contadini perché non deforestino, ma conservino i servizi ecosistemici della foresta. Per fare un esempio è come se finora ci si fosse affidati ai consumatori per evitare l’acquisto di auto a benzina, ma il punto è che invece bisogna decidere di non venderle.
Mille miliardi di alberi era un numero uscito da uno studio di alcuni anni fa, senza fare però un piano concreto (esiste invece quello dell’Onu). Tuttavia il punto è, come ha detto giustamente il fondatore di Treedom, che bisogna sapere dove piantare gli alberi e quali, altrimenti si possono fare danni alla biodiversità. Inoltre questi alberi non sono tutti da piantare, c’è una quota di piante che si riproduce naturalmente se si interrompe la deforestazione.
Infine, altro punto fondamentale: se non si proteggono le foreste dagli estremi climatici, attraverso la deforestazione, piantare non servirà, non possiamo basarci su un serbatoio di carbonio che è tra i più fragili, se le temperature aumentano troppo gli alberi non assorbono più, a causa di siccità e incendi.
Qualcuno ha parlato, a proposito dei progetti di riforestazione tra G20 e Co26, di operazione greenwashing per coprire magari i mancati accordi su emissione ed energia. Non penso che sia così, certo i fronti su cui agire sono soprattutto quelli della decarbonizzazione e delle rinnovabili. La resistenza di India, Cina e Australia è un problema, anche se è vero che paesi come l’India e altri non possono fare tutto da soli. A questo proposito, sarebbe bene che i cento miliardi destinati ai Paesi poveri non siano prestiti, altrimenti saremmo di fronte a una sorta di neocolonialismo e di nuovo indebitamento climatico.
Per una volta però non sarei pessimista. Mi sembra almeno che gli obiettivi siano sempre più chiari, ho ascoltato la cerimonia di apertura della Cop e mi sono stupito di come abbiano trovato modi per cercare di motivare i leader ad agire. Una sorta di vero empowerment nei confronti dei capi di Stato, per convincerli davvero a cambiare.