“Diciamo che in questo libro mi sono divertita a fare ‘a pezzi’ gli uomini… con grande amore, però, sia chiaro!” È questa la boutade con cui la scrittrice Sandra Petrignani ci presenta il suo ultimo titolo, Leggere gli uomini (Laterza, pp. 254, euro 18) che sarà in libreria l’11 novembre e che abbiamo letto in anteprima. Dopo aver dedicato un precedente testo (Lessico femminile, 2019) alla bellezza delle tante pagine scritte da donne, per rendere loro il giusto onore troppo spesso dimenticato in un canone da cui continuamente vengono espulse, la scrittrice ha sentito fosse arrivato il momento di fare i conti con l’altra metà del cielo, quella maschile, che in effetti non si limita alla metà, essendo nei fatti sproporzionata. “Ed è proprio perché gli scrittori sono infinitamente più numerosi delle scrittrici – racconta Petrignani –, che io mi sono formata soprattutto sulle pagine scritte dagli uomini. Ho voluto, dunque, riflettere in primis su come, da donna, ho dovuto adattare il mio immaginario a partire, per esempio, dalle avventure di Peter Pan di James Matthew Barrie, o le storie di Rudyard Kipling che ho letto da giovanissima. Perché erano i loro personaggi maschili – eroi, mascalzoni, viaggiatori, avventurieri – ad avere una vita più emozionante, più vivace, e con cui avrei voluto misurarmi. In seconda battuta, ho voluto inoltre comprendere come questi autori mi sono entrati dentro, provare a rintracciare il mio debito di scrittrice nei loro confronti”.
Una coltissima e vivida autobiografia letteraria, personale e arbitraria come è sempre la vita quando viene raccontata. Petrignani opera una ricomposizione della sua parabola di scrittrice attraverso gli autori uomini che l’hanno resa tale: un viaggio su e giù per il tempo reale e romanzesco a passeggio con Dumas, Roth, Pavese, Proust, Calvino, Tolstoj e molti altri, un percorso fatto di frammenti e associazioni che seguono l’istinto, anzi la storia. Sulla scia di quel modo di tagliare e ricucire tra loro le citazioni così caro a Walter Benjamin nei suoi Passages, è così che l’autrice “fa a pezzi gli uomini”, per ricostruire con questi cocci un mosaico nuovo, inedito. “Tutte le citazioni da questi autori rivelano qualcosa di me, del mio essere prima di tutto una lettrice – precisa Petrignani – e il mio intento era farle riverberare tra loro affinché si parlassero, che generassero una nuova vita, una nuova storia: la mia”.
E c’è infatti la storia di Sandra tra una citazione e l’altra (tra un atto e l’altro, direbbe Virginia Woolf): il sogno di indipendenza e libertà da ragazza, conquistata grazie al lavoro di baby-sitter e dando ripetizioni, che le deriva dalle storie avventurose di Kipling, “incarnazione dell’uomo forte, rude e determinato”; e poi l’ossessione narrativa per il tema del doppio attraverso Dostoevskij e Bruce Chatwin; e ancora la passione per le case degli scrittori che la porta a scoprire negli anni i disegni sul muro di un giovanissimo Samuel Beckett nella natia Irlanda, le antilopi impagliate e i tappeti di leone di Hemingway dentro la sua residenza “chiara, geometrica e moderna” a Cuba, o la collezione di scarpe di Thomas Bernhard, tutte allineate in file ordinate nel suo casale a Ohlsdorf in Austria; e per finire, la scoperta del corpo con il feroce e sensibile Pasolini, lo spietato e vivissimo Nabokov. Un posto speciale lo occupano gli scrittori che – oltre a essere amati in qualità di lettrice – Petrignani ha amicalmente frequentato nella vita. Luigi Malberba (“affettuoso e meditativo”) e Giorgio Manganelli (“dalla simpatia ombrosa”), che nelle parole dell’autrice sono “maschi imprevedibili e spericolati, curiosi delle donne” e che “apprezzavano e sostenevano il talento femminile”. E anche Alberto Moravia, la cui prepotente carica erotica “aveva qualcosa di infantile”. Soprattutto, però, c’è il racconto dello sbocciare di un femminile (quello dell’autrice) a partire da modelli maschili, tanto per addizione, quanto per sottrazione: più le eroine descritte dagli uomini sono viste come vittime, suicide, condannate al recinto amoroso, traditrici, sempre schiave del problema della seduzione, schiacciate dal senso di colpa, più una scrittrice sente l’esigenza di inventare paradigmi femminili nuovi, prim’ancora per parlare di sé, oltre che per sviluppare un punto di vista muliebre fondato sulla libertà conquistata.
In questa esplorazione letteraria che mescola, dunque, i generi di maschile e femminile, si muove in tralice una domanda: esiste una differenza tra le narrazioni maschili e quelle femminili? Non volendo generalizzare, Petrignani ritiene che un campo di assoluta differenza siano le ossessioni: “In virtù della sua capacità di procreare, sia che lo faccia o non lo faccia, ritengo che la donna si senta in qualche modo giustificata a vivere, come protetta dall’ossessione dell’esistenza che negli uomini, invece, si può trasformare in un mito quasi persecutorio”. Così come, per certi versi, si differenziano nei temi. “L’amore è il grande tema della donne. Inteso come relazione con sé e con l’altro, l’amore è centrale: lo esplorano maggiormente, ma vi restano anche un po’ chiuse dentro. Gli uomini no, sono più centrati sull’io, sullo scontro, sulla conquista del mondo, sullo scolpire la loro figura quali viaggiatori, soldati o amanti”. Queste, però, non sono norme o principi fissi, sia chiaro! Perché la sola regola che vale, lo scrive l’autrice in questo generoso e denso romanzo di romanzi, è che “le leggi in letteratura sono fatte per essere infrante”.