Ciò che è avvenuto per quanto riguarda le conversazioni di Matteo Renzi finite agli atti dell’inchiesta della Procura di Firenze non ha rappresentato “una utilizzazione parcellizzata e disconnessa dalla posizione dei parlamentari”, bensì una “utilizzazione che ha evidenti ed inequivocabili incidenze sulla loro posizione nell’ambito del procedimento penale”.
I magistrati della Procura di Firenze – che hanno iscritto il leader di Italia Viva con altri per concorso in finanziamento illecito – depositando le conversazioni in cui era presente anche l’ex premier hanno violato “le guarentigie costituzionali del parlamentare”. È con queste parole che il 7 ottobre scorso Renzi ha chiesto a Maria Elisabetta Alberti Casellati di “porre in essere tutte le azioni a tutela dei diritti del parlamentare”. La presidente del Senato ha deferito la questione alla Giunta per le immunità del Senato che proprio martedì entrerà nel vivo: dopo le 20 in Giunta, nonostante l’ora, è previsto il pienone perché si comincerà a discutere della richiesta inoltrata da Renzi a Casellati. Della lettera del 7 ottobre i legali, dell’ex premier hanno informato anche la Procura di Firenze.
Già nelle scorse settimane il Fatto ha raccontato delle lettere di Renzi e di come il caso in Giunta sia stato affidato alla senatrice di Forza Italia Fiammetta Modena. Ma cosa c’è scritto di preciso nella missiva spedita a Casellati? Alla “Eccellentissima sig.ra Presidente” il senatore ha rappresentato anche quanto avvenuto il 4 ottobre, quando la Procura di Firenze ha dichiarato il non luogo a provvedere rispetto all’istanza dei legali di Renzi che qualche giorno prima avevano avanzato “formale intimazione al Procuratore Aggiunto, dott. Luca Turco di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa in base all’articolo 68 della Costituzione (sulle guarentigie dei parlamentari, ndr)” e dall’utilizzo di “conversazioni e corrispondenza casualmente captate (…) senza la previa autorizzazione della Camera di appartenenza”.
La richiesta è stata respinta sulla base della circostanza che l’utilizzazione dei dati processuali in questione è stata operata non già nei confronti di Renzi, ma di un altro indagato che non essendo parlamentare non poteva invocare quelle garanzie riconosciute agli eletti. Di qui la lettera di doglianze di Renzi alla Casellati: “La lapidaria affermazione dei pm non è in alcun modo condivisibile e viola le guarentigie costituzionali del parlamentare, dal momento che volutamente trascura una circostanza di centrale rilievo. Le conversazioni oggetto dell’istanza sono, infatti, avvenute tra parlamentari e non, e sono state utilizzate dalla Procura per sostenere la propria tesi accusatoria senza la previa autorizzazione delle Camere di appartenenza”. “Non si tratta – continua Renzi – di una utilizzazione parcellizzata e disconnessa dalla posizione dei parlamentari, ma di una utilizzazione che ha evidenti ed inequivocabili incidenze sulla loro posizione nell’ambito del procedimento penale e delle relative indagini”.
Renzi aveva già scritto alla Casellati a dicembre 2020 allegando una comunicazione con cui chiedeva conto al Procuratore aggiunto di Firenze di quanto avevano riferito i quotidiani a proposito dell’avvenuta esecuzione di intercettazioni e/o comunque captazioni di conversazioni o comunicazioni o corrispondenza dello stesso senatore e/o di altri parlamentari coindagati, nonché l’inserimento nelle chiavi di ricerca di telefoni e pc sequestrati dei nomi di parlamentari. Una comunicazione, inoltrata per conoscenza alla Casellati, in cui Renzi auspicava una smentita da parte del Procuratore aggiunto, ritenendo che, in caso contrario, sarebbe stato “evidente il tentativo di intercettare, captare e acquisire, senza la necessaria preventiva autorizzazione, conversazioni o comunicazioni o corrispondenza del parlamentare”. Poi con la lettera del 7 ottobre Renzi punta a ottenere a una pronuncia da parte del Senato. Da martedì, la Giunta per le immunità potrà riservare tante sorprese.