Comunione e Liberazione ha un nome bellissimo di cui si riconosce l’impronta sessantottina, anche se ben presto Cl si sarebbe offerta alla gioventù cristiana lombarda come contraltare del movimento di rivolta, vera e propria antitesi culturale del Sessantotto. Non accontentandosi di una presenza religiosa, nella sfida di quegli anni Cl scelse di consolidarsi attraverso “opere” che presero la forma del potere. E diede vita a un inedito clericalismo dal basso che l’ha favorita anche nella battaglia delle preferenze, prima dentro la Dc e poi in Forza Italia. Procurandole inoltre una speciale benevolenza dei due pontefici conservatori Wojtyla e Ratzinger.
La crisi che oggi si manifesta con le dimissioni anticipate di Julián Carrón in realtà covava da tempo. Trae origine dalla lettera con cui, quasi dieci anni fa, lo stesso Carrón prese le distanze dagli scandali del politico ciellino più in vista, Roberto Formigoni: “Se Cl è identificata con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo aver dato”. Quella svolta voluta da Carrón fu male accolta, in quanto atto di debolezza, da esponenti come don Luigi Negri e Giancarlo Cesana (oltre che, naturalmente, dallo stesso Formigoni).
Il sacerdote spagnolo che don Giussani scelse come successore, preferendolo a esponenti italiani più carismatici e combattivi, annunciava un distacco dalle contese ideologiche e politiche, nonché un colpo di freno alla ricerca di posti di potere. Non tutta la vecchia guardia ha gradito. Più o meno apertamente, Carrón è stato accusato di rinunciare alla difesa dei ciellini inseriti nell’establishment, nel mentre privilegiava la dimensione internazionale del movimento e l’attività educativa delle scuole parificate. Anche il recente commissariamento vaticano dei Memores Domini, ordine monastico laico di Cl cui appartiene lo stesso Formigoni, è derivato dalla messa in discussione del ruolo di guida spirituale di Carrón. Il quale ha rotto gli indugi dichiarando aperta una crisi che era già latente.
Lo ha fatto con due anni di anticipo sui limiti temporali del suo mandato, condividendo le nuove disposizioni di papa Francesco: d’ora in poi nei movimenti ecclesiali il ricambio della leadership deve scaturire dal coinvolgimento degli associati, scongiurando pericolose investiture a vita.
Per Comunione e Liberazione questo è davvero un passaggio epocale, forse più ancora che per i Focolarini e gli altri movimenti interessati dal provvedimento. Nel libero dibattito che lo stesso Carrón chiede si svolga prima della successione, se sarà pubblico come egli si augura, emergeranno le contraddizioni di una storia lunga ormai più di mezzo secolo. L’esaltazione dello spirito di appartenenza, che in passato è servito a giustificare la spregiudicatezza della lunga marcia dentro il potere, troverà ancora nostalgici sostenitori? Oppure il distacco dalle tentazioni materiali perseguito da Carrón camminerà sulle gambe delle nuove generazioni cielline, quelle cui non è mai stato chiesto di schierarsi in politica?
Di più. Comunione e Liberazione è chiamata a fare i conti con la sua adesione a una visione tradizionalista del ruolo pubblico della Chiesa, quello impersonata a lungo, per esempio, dal cardinal Ruini; e dall’ostilità con cui ha sempre guardato alle esperienze del cattolicesimo democratico (memorabile resta il giudizio sprezzante sull’episcopato milanese del cardinal Martini). Insomma: nelle tempestose vicende della Chiesa contemporanea guidata da papa Francesco, il movimento ciellino è destinato a rimanere parte dello schieramento conservatore?
Una cosa è certa. Il progressivo estinguersi del lascito culturale sessantottino rende anacronistico anche il movimento dell’anti-Sessantotto, chiamato a rinnovare la sua stessa idea di cristianesimo.