Probabilmente non lo prenderanno mai. E ci riproverà con un’altra. Un’altra donna che pensa: non accadrà a me. Crede di essere abbastanza accorta, di saper fiutare il pericolo. Quando può, evita le strade buie, le ore notturne. Ma la prudenza non c’entra nulla con quel pensiero disancorato dalla realtà che ci porta a credere che no, noi non saremo mai le prossime vittime. Nonostante quasi 90 donne ogni giorno in Italia siano bersaglio di violenza. Anche io sono caduta nel tranello. Sapevo. Eppure pensavo: non può succedere proprio a me. Invece no. E a mie spese ho scoperto che esiste anche un’altra, terribile, trappola. L’idea che il controllo sociale funzioni, che la sensibilizzazione sia sedimentata. E che di fronte a una donna che chiede aiuto scatti la responsabilità individuale. Invece, ancora una volta, no. Anche io adesso sarò un numero nelle statistiche. Entrerò a far parte di una gelida percentuale che però – adesso lo so – ci dice ben poco di ciò che scatena la violenza di genere.
Non ci dice nulla di ciò che si chiude: il senso di sicurezza, l’illusione di essere libere, la convinzione che possiamo scegliere (e parlo anche delle piccole cose, delle abitudini di ogni giorno). E non ci dice nulla di ciò che si apre. Della paura che irrompe nel quotidiano, dell’autocensura, di quella catena di obblighi e divieti autoinflitti che diventano più vincolanti di leggi scritte nella pietra. Non ci dice nulla persino di un paradossale senso di colpa: forse, in fondo, te la sei cercata. Oggi ricorre la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Quante volte ne abbiamo (e ne ho) scritto. Adesso però vorrei raccontarvi una storia che ha a che fare con l’indifferenza di chi potrebbe tenderti una mano e non lo fa.
Sabato 13 novembre, Bologna. Alle 6 e 35 del mattino esco per andare a fare jogging. E poco dopo lo incrocio. Fermo sul marciapiede, il cappuccio del giubbotto calato sul volto, protetto anche dall’oscurità. Primo campanello d’allarme. Poi, eccolo che mi insegue, mi sorpassa, mi blocca la strada. Torno indietro, scappo, gridandogli di lasciarmi stare. Mi raggiunge, mi afferra un braccio, cerca di trascinarmi lontano dalla strada, nel giardino che la costeggia. Il terrore può paralizzarti. Oppure può darti una forza inaspettata. Puro istinto. Calciavo, urlavo. Non so come ho fatto a liberarmi. So che ho ricominciato a correre, che ho raggiunto la strada di casa. E un bar che aveva da poco alzato la saracinesca. Ho chiesto aiuto al barista, gli ho urlato concitata di chiamare la polizia. Lui mi ha dato il suo cellulare ma tremavo così tanto da non riuscire a comporre il numero. “La prego, chiami lei”.
E a quel punto il barista mi ha voltato le spalle. Mi ha detto che in fondo non era successo niente, che poi i poliziotti avrebbero fatto un sacco di domande. La mia casa dista da quel bar poco più di un centinaio di metri. C’era anche un cliente, gli ho chiesto di accompagnarmi, perché temevo che quell’uomo fosse appostato, che scoprisse dove abito. Lui si è limitato a guardarmi. Era solo incuriosito. Raggelata mi sono fatta coraggio. Di nuovo di corsa verso la mia abitazione, il cuore in gola. E una volta a casa la polizia l’ho chiamata io. Dopo, il pronto soccorso, dove mi hanno visitata e somministrato dell’En, un tranquillante. Poi la denuncia in commissariato. Non mi sono mai sentita tanto sola. Da allora evito il buio, le strade poco frequentate. Persino andare al supermercato dopo l’imbrunire è diventato un atto d’audacia. I rumori mi fanno trasalire. Se scorgo un uomo solo lungo la via mi assale di nuovo il terrore. Lo psicologo mi ha detto che devo raccontare e raccontare, superare il condizionamento alla paura che deriva dalla memoria emotiva che si colloca nell’amigdala. Ieri sono ripassata davanti a quel bar. E l’ho guardato in faccia, quel barista. Ho sfidato la sua la sua stolida ignavia. Mi ha riconosciuta, non ha detto nulla. Ora ne sono consapevole. Nessuna statistica potrà mai rendere conto anche di un altro subdolo nemico delle donne. Così pervasivo da annientarti: il disinteresse. Sicuramente quel barista è contento di sé. Ha badato agli affari suoi.