Lo so che fa tanto provinciale curiosare nei programmi di governo altrui in cerca di un modello per noialtri. Lo so che il Pd non somiglia per nulla ai socialdemocratici tedeschi quanto a profilo culturale e codici di comportamento. Tantomeno sarebbe lecito paragonare ciò che resta del Movimento 5 Stelle all’ormai consolidata esperienza dei Verdi in Germania. Un partito liberale che superi l’11% dei consensi, come la Fdp, infine, resta il sogno irrealizzato di una borghesia italiana che liberale lo è solo a parole. E però… la tentazione è troppo forte, lasciatemi giocare con l’immaginazione.
Ordunque: la Germania, benché in piena emergenza pandemica, spedisce all’opposizione la Cdu ponendo fine a quella esperienza di unità nazionale che invece da noi, nel culto di Draghi, la classe dirigente pretende obbligatoria, concepita per giunta all’opposto di come la Merkel l’ha praticata, cioè come assoggettamento dei partiti politici ai tecnocrati. Si chiama democrazia dell’alternanza.
Elaborato in due mesi un meticoloso programma di 177 pagine, da sottoporre all’approvazione degli iscritti attraverso consultazioni online o veloci congressi, il governo Scholz si profila con una netta impronta di centrosinistra sul terreno sociale, ambientale, dei diritti civili e dell’europeismo. Se scorriamo i punti di questo programma, ne invidieremo il nitore e anche il coraggio. Soprattutto, vi troveremo indicazioni preziose nella definizione degli obiettivi con cui uno schieramento progressista potrebbe candidarsi al governo dell’Italia. Altro che la vaghezza di contenuti della nostra legge di Bilancio, imbrigliata dalla compresenza di forze antitetiche “costrette” nella stessa innaturale maggioranza.
Prima di tutto: la questione salariale. La Spd, partito storicamente legato al movimento sindacale, ha imposto un aumento del salario minimo orario a 12 euro. Da noi restano vigenti accordi contrattuali da 6 euro l’ora che di fatto legalizzano la piaga del lavoro povero. Non dovrebbe essere, questa degli aumenti retributivi, la priorità di una sinistra che aspiri a rappresentare gli interessi delle classi lavoratrici?
Altrettanto impegnativo è l’impegno strappato dai Verdi tedeschi: anticipare al 2030, cioè entro 8 anni, la chiusura di tutte le centrali a carbone. Scadenza che appare temeraria in un Paese come il nostro, dove si continuano a prorogare i tempi di riconversione dell’acciaieria di Taranto, già riconosciuta colpevole di disastro ambientale. Seguono progetti di edilizia residenziale a costi contenuti per 400mila nuovi appartamenti all’anno, provvedimenti di contrasto alla povertà infantile, concessione della doppia cittadinanza ai lavoratori stranieri, investimenti nell’agenda climatica e nella digitalizzazione.
In un Paese che condivide con l’Italia il triste primato dell’età media più elevata, ai giovani si lancia un messaggio di coinvolgimento nelle scelte pubbliche con l’estensione del diritto di voto ai sedicenni. Pochi mesi fa, quando a proporlo fu il neosegretario del Pd, Enrico Letta, nessuno lo prese sul serio, quasi si trattasse di una boutade demagogica. Invece si può fare, basta volerlo.
Anche la scelta di procedere alla legalizzazione della vendita controllata di cannabis, funzionale tra l’altro a combattere la microcriminalità legata allo spaccio, evidenzia un’assunzione di responsabilità sconosciuta alla politica italiana. Tant’è vero che da noi tale proposta ha marciato solo sulle gambe di un referendum promosso dal basso.
Afflitti da scetticismo, i commentatori italiani del nuovo “governo del semaforo” rossogialloverde indugiano sui vincoli di bilancio che la Germania potrebbe continuare a imporre all’Ue, dando per scontata la continuità con l’era Merkel. Un centrosinistra italiano meno esitante, invece, dalla svolta del semaforo avrebbe molto da imparare.